Una mattina, all'improvviso, delle sculture di sabbia ghiacciata sono comparse su una spiaggia del Lago Michigan

All images © Joshua Nowicki

Avrebbe potuto sembrare un evento soprannaturale, non fosse che nella cittadina di St. Joseph, poco più di 8mila abitanti, sulle sponde del Lago Michigan (nel Midwest degli Stati Uniti), sono abituati. Tutti gli anni, infatti, nel corso degli inverni gelidi che caratterizzano la zona, capita che sulla spiaggia bianca e finissima facciano la loro comparsa, senza nessun preavviso, delle strane opere di sabbia ghiacciata. E tutti sanno, nessuno escluso, che a scolpirle è sempre il vento.

Il fotografo Joshua Nowicki ha catturato questo fenomeno magico ed effimero due settimane fa, guadagnandosi l’attenzione dei media e della rete.

Scorrendo le sue immagini si possono osservare queste forme svettanti e rifinite, diverse da uno scatto all’altro, sia per il grande numero e la posizione, che per i momento in cui sono state colte. “Non durano molto a lungo- ha spiegato Nowicki- (di solito solo un paio di giorni). Il vento le erode completamente o le abbatte. Se la temperatura sale sopra lo zero si sbriciolano e spesso in inverno vengono presto ricoperte da un velo di neve".

il formarsi di queste sculture di sabbia ghiacciata, simili a vasi e formazioni rocciose, modellate dal vento, è sicuramente un riflesso degli inverni rigidi del Midwest. Ma a differenza di quanto si potrebbe pensare le temperature di St. Joseph (dove dal ‘79 al 2011 si è tenuto un festival veneziano per la somiglianza del piccolo centro americano alla Serenissima), che normalmente nella stagione fredda non scendono al di sotto dei meno sei gradi, non sono molto diverse da quelle della Pianura padana. A fare la differenza è il vento e, occasionalmente, la persistenza del freddo.

Di solito le strane forme sono incantevoli ma lillipuziane. Questa volta invece il fotografo Joshua Nowicki ha dichiarato che le sculture di sabbia ghiacciata erosa dal vento arrivavano a circa 38 centimentri d’altezza. (via Colossal)

Una foto interattiva da 717 gigapixel per guardare La Ronda di Notte di Rembrandt come non si era mai vista

All images courtesy of Rijksmuseum

Quella scattata a la Ronda di notte (De Nachtwacht), il capolavoro di Rembrand completato nel 1642, è la foto più grande mai fatta ad un’opera d’arte (molto più grande di quella precedentemente resa disponibile). Ben 717 gigapixel in totale che permettono di vedere anche dettagli invisibili ad occhio nudo. Per realizzarla è stato necessario cucire insieme 8439 immagini di grande formato con l’aiuto dell’intelligenza artificiale. E adesso il risultato è a disposizione di tutti sul sito del Rijksmuseum di Amsterdam.

La fotografia è ad altissima definizione. Si compone, infatti, di 71 miliardi di pixel, talmente minuscoli da essere più piccoli di un globulo rosso umano.

"Il team- è spiegato sul sito internet del museo olandese- ha utilizzato una fotocamera Hasselblad H6D 400 MS da 100 megapixel per realizzare 8439 foto individuali di 5,5 cm x 4,1 cm. L'intelligenza artificiale è stata utilizzata per unire insieme queste fotografie più piccole per formare l'immagine finale di grandi dimensioni, con una dimensione totale del file di 5,6 terabyte".

Il risultato, parte del più ampio progetto di ricerca e conservazione Operation Night Watch, è sorprendente. Esplorare La Ronda di Notte è molto facile e permette di vedere i dettagli delle pennellate, spatolature e sovrapporsi di toni, oltre a minuscole crepe e punti in cui la massa cromatica è deteriorata o perduta. Come nel caso del cagnolino non lontano dal capitano Frans Banning Cocq (il committente di Rembrandt, posto al centro della scena) di cui si conserva solo un abbozzo.

D’altra parte il grande olio su tela di Rembrandt (misura quasi 4 metri per 4 metri e 38 centimentri), noto anche come Notte di veglia o La guardia civica in marcia, ha una storia molto travagliata alle spalle. Lo stesso nome che porta è frutto di un fraintendimento settecentesco. Infatti, quando venne spostato nel municipio di Amsterdam (1715), era deturpato da uno strato di sporco talmente fitto da venire scambiato per una scena notturna. Ai tempi si decise anche di restringerlo per adattarlo a una parete altrimenti troppo piccola. Così il capolavoro del maestro di Leida venne privato di una striscia verticale di un metro di base sul lato destro e di una di circa 30 centmentri su quello sinistro. Un vandalismo figlio dell’ignoranza e di un’epoca turbolenta a cui ne seguì un secondo nel 1975 (un pazzo lo colpì più e più volte con un coltello, procurandogli 13 squarci) e un terzo negli anni ‘90 (spruzzato d’acido, il dipinto, per fortuna questa volta non riportò danni).

Il team del Rijksmuseum di Amsterdam si è spinto però oltre il restauro (ancora in corso) e la fotografia interattiva ad altissima risoluzione. E attraverso un dettagliato confronto con una copia de La Ronda di Notte, custodita alla National Gallery di Londra, ha ricreato le parti mancanti dell’opera, senza ancora una volta disdegnare l’aiuto dell’intelligenza artificiale. (via Newatlas)

La Roma in bianco e nero di Giancarlo Pediconi. Contemporanea ed eterna

Giancarlo Pediconi, Roma e altrove. All images Courtesy the artist

Un noto aforisma attribuito a Marcel Proust, recita: “Ho orrore dei tramonti, sono così romantici, così melodrammatici.” Non deve pensarla così Giancarlo Pediconi, che ha scattato all’imbrunire un’intera serie di fotografie. Al centro di queste immagini ambivalenti, che ancorano alla forza del bianco e nero l’atmosfera onirica del racconto, per lo più c’è Roma. Città in cui l’architetto e fotografo è nato e vive tutt’ora. Forse per questo le foto, apparentemente distaccate, trasmettono un vago senso di nostalgia.

Classe 1937, Giancarlo Pediconi, ha alle spalle un’importante carriera come architetto (ha progettato residenze private e spazi pubblici oltre a ricoprire incarichi istituzionali), professione che esercita tutt’ora, ma ha sempre coltivato la passione per la fotografia. Fin da ragazzo, quando il padre gli regalò una Leica. E da diversi anni ad oggi la affianca al suo mestiere vero e proprio.

Ha usato quasi sempre il bianco e nero e predilige il paesaggio. Tema che nel suo caso si raccoglie nella matematica bellezza delle forme architettoniche o si perde, tra il rapito e l’annichilito, nella mancanza di punti di riferimento di spazi aperti in cui la natura non ha mai il sopravvento.

In una corposa serie di scatti, raccolti nella mostra “L’Imbrunire. Roma e Altrove”, recentemente inaugurata nella storica galleria La Nuova Pesa di Roma, al centro del racconto c’è la sua città. Deserta ma viva. Tanto concreta nel peso delle forme e nella forza dei chiaroscuri da diventare soggetto senziente. Come se le sculture e i bassorilievi si preparassero a una passeggiata notturna, lontani da occhi indiscreti. Alcune immagini danno la sensazione che qualcosa da un momento all’altro si prepari ad accadere. Qualcosa d’importante, s’intende. Mentre altre bastano a se stesse e di nuovo l’architettura diventa protagonista di un racconto millenario. Vagamente incantato ma pericolosamente immutabile. Quasi la contemporaneità, con il suo oggi e la sua vita, filtrasse soltanto tra le pieghe di un racconto impermeabile al divenire.

“L’Imbrunire. Roma e Altrove” rimarrà alla gelleria La Nuova Pesa fino al 24 dicembre 2021. Ma per vedere altre immagini della Roma in bianco e nero contemporanea ed eterna di Giancarlo Pediconi, si può consultare il suo sito internet.