Biennale di Venezia| “What Work Is” il Padiglione Romania di Șerban Savu tra realismo socialista e contemporaneità

Șerban Savu Pavilion of ROMANIA WHAT WORK IS 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia Courtesy

Dipinti figurativi che catturano scene sospese e mosaici sono le opere scelte da Șerban Savu per “What Work Is” il Padiglione Romania alla 60esima Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia. Savu, infatti, si interroga sul presente del Paese usando gli strumenti di propaganda del realismo socialista che però sovverte in maniera sottile.

Curata da Ciprian Mureşan la mostra ha due sedi: l’edificio dei Giardini in cui è in corso un’esposizione di pittura e l’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Palazzo Correr. Già perché l’artista nato a Sighișoara (una cittadina nella storica regione della Transylvania) per tutta la durata della manifestazione lagunare dirigerà un team di mosaicisti delle scuole d’arte di Iaşi, in Romania e di Chişinau, in Moldavia, impegnati a creare una scena di pic-nic in scala monumentale che verrà poi installata in Moldovia (la cui storia è strettamente legata a quella rumena). Il mosaico era una tecnica ideale per questo progetto (che si ispira a un precedente dipinto di Savu), perché, tipico delle chiese ortodosse, conobbe un boom negli anni ’30 in tutti i paesi del blocco sovietico come forma di abbellimento (e propaganda) nella cornice altrimenti spoglia dell’architettura brutalista. Nicolae Ceaușescu prediligeva quelli che rappresentavano lavoratori eroici. Savu invece catturerà una scena di svago che porta alla mente la Francia borghese della seconda metà dell’800 e le pubblicità americane degli anni ’50. Con un’atmosfera, però, tipicamente est europea.

A Șerban Savu del resto piace dipingere immagini ibride: in bilico tra città e campagna, tra passato e presente, tra ordine e disordine. Ama anche quelle mistiche ma, pure in questo caso, non è la religione a interessarlo direttamente ma la sua fusione con l’arte sociale (per esempio: le chiese in fase di restauro dopo il crollo del Comunismo). Non a caso ai Giardini i suoi dipinti sono esposti come polittico: ben 45, a coprire la grande parete frontale dello spazio veneziano. Le opere, come anticipato dal titolo, sono dedicate al lavoro, o meglio ai momenti di sospensione dell’attività, che non si possono definire tempo libero ma nemmeno vacanza: ci sono archeologi che si riposano, un pescatore dorme accanto alle canne ecc.. Attraverso queste scene sospese, dove i protagonisti appaiono fuori posto e il mondo sembra aver smesso di girare, l’artista intende parlare del suo paese, della divisione delle patrie dei lavoratori migranti rumeni (che lavorano in un paese e spendono il loro tempo libero in un altro) ma anche porsi domande su cosa sia il lavoro stesso e quali siano i suoi confini. Apparentemente uno strano tema per la Biennale nel 2024, tuttavia, esprime il disagio delle popolazioni est europee nel affrontare la lunga fase di transizione che dal crollo del comunismo ha condotto allo stabilizzarsi del sistema capitalista.

Savu spiega così la questione: “Partendo dal tema del lavoro e del lavoratore, prediletto nell’arte realista-socialista, ma allontanandosi da esso, i personaggi delle mie opere non sono né eroici né utopici, sono persone comuni intrappolate tra mondi e sistemi, sfuggire sia alla propaganda che alla produttività economica. Questa sospensione tra lavoro e tempo libero delinea uno spazio anarchico, uno spazio di libertà personale, a cui faccio riferimento attraverso il filtro della storia dell’arte.”

Di nuovo ai mosaici si riferiscono i modellini di edifici installati nel Padiglione. Miniature di cui gli organizzatori scrivono: “I modelli, che vanno dal condominio in cui Savu è cresciuto a una chiesa in rovina e a un sito archeologico, presentano mosaici che si discostano dagli usi tradizionali di questo mezzo nell'arte religiosa e dalla glorificazione del lavoro nell'arte socialista. Invece di rappresentare conquiste industriali o scene mistiche, i mosaici di Savu trasmettono silenzio, ambiguità e confusione.

What Work Is” il Padiglione Romania di Șerban Savu (fino al 24 novembre), non è tra i più innovativi della la Biennale di Venezia 2024, ma esprime un punto di vista e una riflessione che difficilmente verrebbero in mente a un cittadino dell’Europa occidentale, per questo va visto. Senza contare che l’artista rumeno è un gran pittore e, la percentuale di costrizione realistico-socialista che impone alle sue composizioni, unita alla libertà espressiva che si concede, le rende misteriose e narrative ma soprattutto decisamente godibili.

Pavilion of ROMANIA WHAT WORK IS 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia Photo by: Matteo de Mayda Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of ROMANIA WHAT WORK IS 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia Photo by: Matteo de Mayda Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of ROMANIA WHAT WORK IS 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia Photo by: Matteo de Mayda Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of ROMANIA WHAT WORK IS 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia Photo by: Andrea Avezzù  Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of ROMANIA WHAT WORK IS 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia Photo by: Andrea Avezzù  Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of ROMANIA WHAT WORK IS 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia Photo by: Matteo de Mayda Courtesy: La Biennale di Venezia

Cattelan in versione top gun è tornato a New York dopo 20 anni (ed è subito polemica)

Installation view, Maurizio Cattelan: Sunday, Gagosian, West 21st Street, New York. Artwork © Maurizio Cattelan. Photo: Maris Hutchinson

Sunday” (“Domenica”) la prima personale di Maurizio Cattelan a New York da oltre 20 anni, che segna anche il suo debutto nelle sale della Gagosian Gallery, ha fatto discutere. Quei 64 pannelli d’acciaio placcati d’oro 24 carati e crivellati di colpi di arma da fuoco a qualcuno sono piaciuti mentre altri li hanno criticati aspramente. Senza contare che oltre un artista si è lamentato rivendicando la primogenitura dell’idea (il britannico Anthony James si è spinto addirittura a far mandare una lettera legale all’artista originario di Padova accusandolo di aver copiato i suoi “Bullet Paintigs”). Di certo l’esposizione, curata dal critico di origine fiorentina, Francesco Bonami che fa anche parte del cda della mega galleria internazionale (la cui collaborazione e amicizia con Cattelan è ormai storica), parla di violenza, ricchezza, morte, ricordo e (come quella al Pirelli Hangar Bicocca di Milano nel ’21-‘22) è più seria rispetto alla produzione precedente. Cupa e sfavillante allo stesso tempo, vuole essere un ritratto graffiante della società americana. E forse non solo.

Sfavillante, appunto, come i pannelli placati in oro zecchino, accostati l’uno all’altro sulla grande parete della galleria newyorkese, che sono stati segnati dai colpi di oltre 20mila proiettili sparati in un poligono di tiro da un gruppo di professionisti anche durante un evento esclusivo antecedente l’esposizione. Pare alla performance fosse presente anche Jeff Koons e che abbia commentato: “Celestiale!” riferendosi al risultato. Al di là dell’impeccabile (e imperturbabile) gentilezza di Koons, ben documentata dalle cronache durante la sua lunga carriera, in questo caso è comprensibile l’apprezzamento dell’americano: l’installazione che dà il nome alla mostra osservata da vicino richiama la sua produzione: ogni piccolo cratere “accoglie”, l’immagine del “visitatore all’interno dell’opera d’arte” (come dice Koons parlando del proprio lavoro); peccato che in questo caso ci si specchi in quel che resta di una pioggia di proiettili. D’altra parte all’inaugurazione della personale (avvenuta lo scorso 30 aprile) al pubblico veniva timbrato su una mano “Beware of Yourself” (diffida di te stesso!).

Ovviamente le citazioni e gli influssi che ritroviamo in “Sunday” non si fermano a Koons. C’è innanzitutto la storia delle armi nel contesto dell’arte, come spiega Bonami: “Le immagini (di violenza armata ndr) non sono una novità nell'arte; si passa da L'esecuzione dell'imperatore Massimiliano (1867-69) di Manet a Il 3 maggio 1808 (1814) di Goya, da William Burroughs che spara a tutto e a chiunque intorno a lui a Chris Burden che spara a un aereo in volo, dall'attentato di Valerie Solanas di Andy Warhol nel 1968 all'iconica fotografia di Richard Avedon (1969) delle cicatrici che lasciò sul corpo di Warhol”. C’è l’approccio distruttivo al Minimalismo (sia perché i pannelli sono stati bersaglio di una pioggia di proiettili, sia perché gli acquirenti si potranno comperare i pannelli separatamente, di fatto, decostruendo l’installazione come fosse una forma di formaggio). Poi ci sono i riferimenti all’arte astratta (è lo stesso Cattelan ad affermare: “E’ la prima volta che faccio un’opera astratta.”) da Pollock ai tagli di Fontana. Qui va detto che i tiratori al poligono non si sono limitati a sparare a caso contro i pannelli, ma hanno usato vari tipi di armi (automatiche e semiautomatiche; fucili e pistole) per raggiungere l’immagine desiderata dall’artista, Cattelan, al quotidiano britannico The Guadian, ha spiegato: “Deve essere attraente e, allo stesso tempo, inquietante”. La giornalista Adrian Horton che ha redatto lo stesso articolo ha descritto “Sunday” in questo modo: “E bellissima (…) ammaccature, crateri, impronte, strappi, colpi netti che ricordano pugni.”

In disaccordo il famoso critico statunitense, Jerry Saltz, che, pur spendendo lodi per l’opera di Cattelan in generale e per l’acume critico di Francesco Bonami, non ha amato lo show in corso da Gagosian e ha definito “Sunday: “Enorme pezzo kitch”. Ha anche scritto: “Sunday dice molto poco, a voce alta. L’America è un paese violento con le armi e un paese affamato di ricchezza, e se guardi in quelle superfici lucide, puoi vedere te stesso. L’idea è così semplicistica che (…) Queste mediocrità dicono la stessa cosa a tutti allo stesso modo. Filosoficamente, tremolano e muoiono”.

Di tenore diametralmente opposto (anche se in questo caso non poteva essere altrimenti) il testo pubblicato da Bonami sul sito di Gagosian: “Un pannello dorato ricoperto di segni di arma da fuoco è come una domenica (sunday, ndr): lo sfondo di una festa andata male, molto male (..) Sunday (2024) di Cattelan si spinge un po' oltre, rimuovendo la presenza di chi ha sparato e trasformando la violenza in una sorta di pattern, una decorazione, un ricordo della follia umana. Il suo muro potrebbe essere quello di un casinò di Las Vegas crivellato di proiettili da un giocatore scontento. C'è bellezza nel periodo successivo alla tragedia(...) Cattelan apre una strada attraverso questo possibile malinteso, parlando delle contraddizioni irrisolvibili tra libertà e violenza, divertimento e orrore. (…) Non che respinga l'orrore, ma ne vede l'altro lato: il divertimento. Ovviamente non il divertimento delle vittime ma il divertimento inimmaginabile ma sicuramente presente nella mente dell'autore dell'omicidio di massa”.

Cattelan a New York Times ha invece detto: “L’oro e le armi sono il sogno americano”, per poi sottolineare che l’opera è stata prodotta negli Stati Uniti per la permissiva legislazione sulle armi: “In quale altro posto al mondo potresti farlo?” (anche se, pur nel contesto meno rigido in materia, sono stati necessari mesi per organizzare le sessioni di tiro superando ostacoli logistici e legali).

Di fronte a “Sunday” c’è “November” (sempre 2024), cioè una fontana in marmo di Carrara che rappresenta un uomo coricato su una panchina mentre, tenendosi il pene in mano e coprendosi gli occhi, fa pipì per terra (manca il drenaggio quindi l’acqua finisce sul pavimento per davvero). Bonami la paragona a “Manneken Pis (1619; a lungo simbolo incontrastato di Bruxelles) e commenta: “Qual è la differenza tra un bambino piccolo che fa pipì in una fontana e un uomo adulto che fa pipì sul pavimento? È solo una questione di convenzione.”

Benchè il protagonista di “November” sia Lucio Zotti, amico e socio in affari di Cattelan di lunga data morto il settembre scorso, la stampa ha definito l’opera la “rappresentazione di un senzatetto” o una “figura ai margini” e l’artista ha lasciato aperta questa interpretazione (anche se Zotti non si avvicinava nemmeno lontanamente a un senzatetto) definendo la scultura “un monumento della marginalità”.

Il sessantatreenne star indiscussa dell’arte contemporanea, Maurizio Cattelan, infatti, si è a lungo rifiutato di esporre da Gagosian, perché la mega galleria è il simbolo stesso della mercificazione dell’arte e lui ha in più occasione criticato il consumismo. Recentemente però ha detto ridendo (sempre a The Guardian): “Chiamo Gagosian il lato oscuro del mercato. Ho esitato per molto, molto tempo, ma è stata una buona partnership.” Cattelan è anche sostenitore di una vita il più possibile spartana (si sposta in bicicletta, va a nuotare tutti i giorni in una piscina comunale). E come si può, quindi, non pensare che la giustapposizione, il confronto diretto delle due opere in mostra a New York, non sia anche una critica al mercato dell’arte?

I 64 pannelli ricoperti d’oro che compongono l’installazione statunitense, secondo vari media, sono attualmente in vendita per 375mila dollari l’uno, per un totale di 24milioni di dollari per l’intero set. Gagosian non ha per ora rilasciato stime delle vendite.

Sunday” di Maurizio Cattelan, a cura di Francesco Bonami, si potrà visitare nella sede della Gagosian Gallery di New York fino al 15 giugno 2024. Nel frattempo l’artista è anche protagonista della mostra “The Third Hand” al Moderna Museet di Stoccolma (fino al 12 gennaio 2025) ed espone una foto fuori dal Padiglione Santa Sede della Biennale di Venezia 2024.

Installation view, Maurizio Cattelan: Sunday, Gagosian, West 21st Street, New York. Artwork © Maurizio Cattelan. Photo: Maris Hutchinson

Installation view, Maurizio Cattelan: Sunday, Gagosian, West 21st Street, New York. Artwork © Maurizio Cattelan. Photo: Maris Hutchinson

Installation view, Maurizio Cattelan: Sunday, Gagosian, West 21st Street, New York. Artwork © Maurizio Cattelan. Photo: Maris Hutchinson

Photo Courtesy: Maurizio Cattelan

Il ghiaccio del Mar Baltico si fa astratto nella fotografia di Bernhard Lang

BALTIC ICE II PAERNU 008 All images courtesy: © Bernhard Lang Strutture di ghiaccio sul mare vicino a Paernu, fotografate da un'altezza di circa 100 metri.

Baltic Ice”, la nuova serie di immagini del fotografo tedesco Bernhard Lang (di alcune delle precedenti Artbooms ha parlato qui), non ritrae quasi nient’altro che blocchi di ghiaccio e distese d’acqua. Qualche porto stretto nella morsa del freddo più intenso, alcune navi rompighiaccio che si fanno faticosamente largo in un ambiente aspro, ma la terra ferma, e la presenza dell’uomo (come di altri animali) si riducono questo. Il paesaggio marino invernale dell’estremo nord europeo, in compenso, è il protagonista assoluto di questi scatti aerei che lo tengono in bilico tra documentazione del reale ed astrazione.

Nato nel 1970 a Crailsheim, un’antica cittadina immersa nel verde della Germania meriodionale, Bernhard Lang, che adesso vive e lavora tra Monaco, Langenburg (in Germania) e Tallin (in Estonia), dal 2010 si dedica al progetto “Aerial Views”. Si tratta di immagini prese dall’alto, spesso molto in alto, che Lang non si limita a catturare con un drone ma scatta personalmente, noleggiando elicotteri o piccoli aereomobili. E’ stato in diversi continenti, anche se, per ovvie ragioni, più di frequente focalizza il suo interesse sull’Europa (in Italia ha fotografato le cave di marmo a Carrara e le sterminate distese di ombrelloni della riviera romagnola). Si soffferma sia sul paesaggio naturale che, più spesso, su quello industriale o, comunque sulle aree in cui la presenza dell’uomo ha avuto un forte impatto sull’ambiente.

E’ evidente quindi che Lang, non intenda limitarsi a stupire il pubblico con immagini inconsuete, ma cerchi di documentare l’impatto della presenza massiccia dell’uomo sul Pianeta. Senza dimenticare che lui, come altri fotografi, mostrandoci il mondo da un altro punto di vista, ci renda evidente quanto la nostra percezione del reale sia parziale e ingannevole.

Baltic Ice” è stata scattata in Finlandia e in Estonia e mostra il paesaggio nord europeo drasticamente trasformato da un rigido inverno. In alcune foto si vede come il ghiaccio arrivi fino all’acqua di un porto di Helsinki, in un’altra una spiaggia estone (che durante l’estate si riempie di turisti) completamente innevata e ghiacciata. E poi il Lago Peipus (sempre in Estonia) diventato solido e percorribile a piedi. Quest’ultimo, poco profondo, è un lago enorme, sette volte più largo del Lago di Costanza che, a sua volta, è più grande del maggior lago italiano (il Garda), e proprio in mezzo ad esso cade il confine con la Russia tracciato dalla Nato.

In questa serie, come in altre di Lang, il confine tra realtà e astrazione si fa labile. E alcune fotografie si spingono all’estremo limite mentre offrono agli occhi una danza di motivi bianchi sulla campitura di blu del mare.

Lang ha spiegato così la nascita di “Baltic Ice”: "Poichè in parte vivo in Estonia dal 2022 ho notato delle forme di ghiaccio dall'aspetto interessante che la natura ha creato e che si vedono partendo dal Mar Baltico durante  l'inverno"

 Baltic  Ice Kakumaee 002 Banchi di ghiaccio nel Mar Baltico al largo delle coste dell'Estonia, vicino alla capitale Tallinn.

BALTIC ICE II PAERNU 003 Il fiume Paernu, nell'Estonia meridionale, è mantenuto navigabile da piccole navi rompighiaccio.

 BALTIC ICE PEIPSIJAERV 016 L'immenso Lago Peipus (circa 7 volte più grande del Lago di Costanza) è completamente ghiacciato perché è profondo solo 2 metri. Il confine esterno della NATO con la Russia attraversa il centro del lago. I pescatori sul ghiaccio colmano le grandi distanze sul lago con auto appositamente costruite.

 BALTIC ICE II HELSINKI 014 A Helsinki, in Finlandia, anche il mare nei bacini portuali gela.

 BALTIC ICE PAERNU 008 La spiaggia di Paernu più visitata dell'Estonia in estate, è ghiacciata in inverno.

 BALTIC ICE PAERNU 010 Per diversi mesi il Mar Baltico è rimasto ghiacciato nella baia della località balneare di Paernu. Molti pescatori sul ghiaccio camminano per chilometri sul ghiaccio per dedicarsi a questa attività invernale che è molto popolare da queste parti.