Con l'opera "Have a Good Day!" le artiste del collettivo Neon Realism hanno fatto musica dei pensieri delle cassiere di un supermercato

Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė Have a Good Day! Teatri di Vita, Bologna, 2023 Foto Ornella De Carlo Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

Andata in scena ai Teatri di Vita di Bologna lo scorso weekend, in occasione della settimana di iniziative Art City che accompagna Arte Fiera, l’opera "Have a Good Day!" del terzetto di artiste lituane Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė e Rugilė Barzdžiukaitė (le stesse del collettivo Neon Realism). Novanta posti, tre appuntamenti, tutti esauriti già prima della presentazione ai media. D’altra parte si trattava di un successo annunciato.

Minimale e ironica, infatti, la performance che mette in musica i pensieri delle cassiere di un supermercato, è pluripreamiata. E il fatto che sia opera delle stesse autrici dell’installazioneSun & Sea (Marina), cioè il Padiglione Lituania che si è aggiudicato il Leone d’Oro come miglior partecipazione nazionale alla Biennale di Venezia del 2019, di certo non guasta.

Basata su una scenografia rigorosa e frontale, ridotta allo stretto necessario (seggiole e neon; il pianoforte suonato dall’adetto alla sicurezza è fuori campo), così come i costumi (pantaloni, camicia e grembiule per le signore, divisa azzurra e cappellino snapback per il pianista), "Have a Good Day!", parla di alienazione attraverso un desiderabile vocabolario pop ridotto a ritornelli.

Il colore è bandito (fatta eccezione per quello dei volti delle interpreti e per il loro grembiule blu). I prodotti di consumo (alimentari e non), esistono nell'opera, ma solo sotto forma di parole.

Il costante e monotono 'beep' emesso dalla cassa ogni volta che è scansionato un prodotto- spiegano gli organizzatori- si trasforma in un suono chiave udibile durante tutta la durata dell'opera, in forma più acuta o più debole, che si alterna e sovrappone a una serie di canzoni, anch'esse monotone come il processo di acquisto e vendita. La musica, al posto di diventare il centro focale dell'opera, serve a enfatizzare i pensieri dei personaggi, facilitando l'ascolto delle loro voci”.

La prospettiva, enfatizzata dalla scenografia minimale, ha un dupplice scopo. Da una parte, infatti, sottolinea la solitudine delle protagoniste (ognuna delle quali prende posto su un proprio piccolo palco), dall’altra le avvicina al pubblico (spinto a guardarle), quando il loro pensieri. sottratti all’oscurità, si fanno canto vivace ed ironico.

Il ritmo non perde colpi. Il fraseggio parlato veloce delle interpreti è, a volte, simile a un rap del quotidiano tratteggiato da un’ironia surreale. Atre si fa coro, altre ancora canto ricco di svolazzi e barocca vitalità. D’altra parte "Have a Good Day!" è un opera lirica contemporanea.

Le luci hanno un ruolo fondamentale. Sia i neon che si spengono e si accendono, riducendo le distanze, accompagnado le canzoni; talvolta lasciando il posto ai fari e all’oscurità circostante le protagoniste, quando il mondo interiore delle commesse prende vita. Sia quelle pulsanti degli scanner che punteggiano, inumani ed esigenti ma anche vitali ed allegri, tutta la performance.

"Nell'opera, la critica alla società capitalistica contemporanea è espressa con ironia, humour, poesia e paradosso, evitando qualsiasi giudizio moralistico. Il mosaico delle diverse vite delle cassiere si fonde in un coro comune, un poema universale che afferma il piacere del consumo".

"Have a Good Day!" è interpretata in lituano ma viene sottotitolata di volta in volta in varie lingue (a Bologna sia in inglese che in italiano). Vaiva Grainytė (poetessa e scrittrice) è l’autrice del libretto, Lina Lapelytė (artista, compositrice e performer) ne è la compositrice e direttrice musicale mentre Rugilė Barzdžiukaitė (regista e artista) qui è regista e scenografa.

Le tre artiste che uniscono i loro sforzi anche nel collettivo Neon Realism, recentemente, hanno realizzato il film “Acid Forest”, che è stato proiettato in molti festival cinematografici internazionali.

Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė Have a Good Day! Teatri di Vita, Bologna, 2023 Foto Ornella De Carlo Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė Have a Good Day! Teatri di Vita, Bologna, 2023 Foto Ornella De Carlo Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė Have a Good Day! Teatri di Vita, Bologna, 2023 Foto Ornella De Carlo Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė Have a Good Day! Teatri di Vita, Bologna, 2023 Foto Ornella De Carlo Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė Have a Good Day! Teatri di Vita, Bologna, 2023 Foto Ornella De Carlo Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė Have a Good Day! Teatri di Vita, Bologna, 2023 Foto Ornella De Carlo Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė Have a Good Day! Teatri di Vita, Bologna, 2023 Foto Ornella De Carlo Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

I colori incredibili, quasi psichedelici, dell'Europa bellica e post-bellica nella fotografia di Werner Bischof

Werner Bischof Modella con rosa Zurigo, Svizzera 1939. Stampa a getto d'inchiostro da ricostruzione digitale, 2022. C Werner Bischof Estate / Magnum Photos

Werner Bischof, l’artista- fotografo svizzero che, più di ogni altro, raccontò con crudo realismo e poetica partecipazione lo sfacelo prodotto in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale, aprirà la stagione espositiva 2023 del Masi di Lugano. Ma al centro dell’importante mostra, non gli scatti in bianco e nero che hanno fatto la storia, ma un mondo vivo di colori intensissimi ed inaspettati. Mai visti.

Non a caso l’esposizione si intitola proprio così: “Unseen Color”.

Un aspetto quello del colore, trattato poco o niente, all’interno della produzione di Bischof e che introduce sia nuovi elementi nello studio del suo lavoro, che interrogativi su quale sarebbe stato il ruolo della fotografia non in bianco e nero nella sua opera, se fosse vissuto più a lungo.

Nato a Zurigo (nella Svizzera tedesca) da una famiglia benestante di imprenditori, Werner Bischof, che aveva manifestato presto il desiderio di dedicarsi all’arte e altrettanto presto aveva cominciato a scattare fotografie (a 20 anni, appena competati gli studi, apre uno studio fotografico di moda e pubblicità), infatti, morirà a soli 38 anni in un incidente d’auto sulle Ande peruviane.

Di mezzo, il suo servizio nelle forze armate svizzere durante il periodo bellico, un grande impegno nel documentare la bellezza della natura, attraverso composizioni formalmente perfette ed esperimenti pionieristici, per arginare il disgregarsi del mondo che vedeva intorno a lui. E poi l’urgenza di uscire a documentare il dolore e la devastazione prodotta in Europa dal conflitto. Fino all’adesione alla neocostituita agenzia Magnum Photos e ai viaggi in India, sud-est asiatico, Giappone, Stati Uniti e America centrale.

Saranno proprio le fotografie a colori del Giappone ad avere la maggior eco tra quelle scattate in tutta la sua carriera. Vuoi perchè Bischof, qui usa il colore per esprimere stati d’animo, vuoi perchè nel libro “Japon”, che vincerà il premio Nadar nel ‘55 (la prima edizione, un anno dopo la sua morte), le immagini in bianco e nero vengono alternate a quelle a colori.

Werner Bischof però aveva cominciato molto prima ad intuire le potenzialità degli scatti a colori. Cosa che adesso potrebbe sembrare scontata ma che nella prima metà del ‘900 non lo era affatto. La fotografia a colori, infatti, complici le pesanti fotocamere necessarie a realizzarla, era considerata mero mezzo per la pubblicità, inacettabile sia per fare arte che per documentare i fatti di cronaca.

Bischof invece la userà in vari contesti e con diversi scopi, dal ‘39 agli anni ‘50. Ci sono le atmosfere di sospensione create dal contrasto tra le città in rovina e i toni vivi della fotografia, l’uso del colore per creare dinamismo negli scatti studiati della popolazione rurale italiana e quello per cogliere la gioia pesante e assorta dei perdenti, ancora vivi, in mezzo allo sfacelo. O ancora per documentare le differenze culturali durante un viaggio.

Unseen Color” procede attraverso il lavoro del fotografo svizzero in senso cronologico, ma ha la particolarità di dividere il vasto materiale (circa 100 stampe digitali a colori da negativi originali restaurati per l’occasione), in tre capitoli che cambiano in base alla macchina fotografica usata da Bischof. Il quale ne ebbe 3: una Devin Tri-Color Camera, macchina ingombrante, che utilizzava il sistema della tricromia, ma garantiva una resa del colore di alta qualità; un’agiIe Leica, dal formato tascabile; una Rolleiflex, dai negativi quadrati.

I colori inaspettati e spesso di una vividezza sconcertante, quasi psichedelica, della fotografia di Werner Bischof, saranno in mostra nello spazio Lac del Masi di Lugano dal prossimo 12 febbraio fino al 2 luglio 2023.

Werner Bischof Il Reichstag, Berlino, Germania, 1946. Stampa a getto d'inchiostro da ricostruzione digitale, 2022. C Werner Bischof Estate / Magnum Photos

Werner Bischof Orchidee (studio) Zurigo, Svizzera 1943. Stampa a getto d'inchiostro da ricostruzione digitale, 2022. C Werner Bischof Estate / Magnum Photos

Werner Bischof Essicazione del grano Castel di Sangro, Italia 1946. Stampa a getto d'inchiostro da ricostruzione digitale, 2022. C Werner Bischof Estate / Magnum Photos

Werner Bischof, Studio. Zurigo, Svizzera 1943. Stampa a getto d'inchiostro da ricostruzione digitale, 2022. C Werner Bischof Estate / Magnum Photos

Werner Bischof, “Trùmmerfrauen" (donne delle macerie) Berlino, Germania, 1946. Stampa a getto d'inchiostro da ricostruzione digitale, 2022. C Werner Bischof Estate / Magnum Photos

Meredith Monk parlerà del suo lavoro e dell'amico Bruce Nauman all'Hangar Bicocca. Prima però sarà in concerto alla Triennale

Dopo l’attesissimo concerto-anteprima alla Triennale di Milano, Meredith Monk, sarà al Pirelli Hangar Bicocca per parlare della sua amicizia con Bruce Nauman (ancora al centro del prestigioso spazio espositivo con la mostra “Neons Corridors Rooms”), di quanto l’arte dell’uno abbia preso da quella dell’altra e viceversa, ma anche della retrospettiva "Meredith Monk. Calling" che il prossimo autunno vedrà il suo lavoro sessantennale protagonista dell’ Haus der Kunst di Monaco di Baviera.

Converserà con Andrea Lissoni (il direttore italiano del famoso museo d’arte contemporanea tedesco che ospiterà la sua mostra), e l’evento sarà ad ingresso gratuito.

Si tratta di un appuntamento importante perchè Meredith Monk è una figura cardine della performance art. Pluripremiata, insignita da numerosi riconoscimenti tra cui la National Medal of Arts (che le conferì Barack Obama) e l'investitura a Chevalier de l'Ordre des Arts et des Lettres della Repubblica Francese.

Nata nel ‘42 a New York City, Meredith Jane Monk è compositrice, cantante, regista, coreografa e filmmaker. La sua musica è stata utilizzata nel film "Il grande Lebowski" dei fratelli Coen, in "Nouvelle Vague" e "Notre musique" di Jean-Luc Godard. Figlia d’arte, la madre, infatti, era cantante professionista e i nonni materni musicisti. Monk, è stata una pioniera di quella che oggi viene chiamata "tecnica vocale estesa"  (che prevede l’utilizzo di particolari tecniche timbriche e armoniche per ampliare la tavolozza dei suoni) e "performance interdisciplinare". In sostanza, ha esplorato con la voce territori fino ad allora inesplorati e nel contempo l’ha mixata con il movimento del corpo. Le sue performance, sono spesso concepite o adattate in funzione dello spazio in cui si esibisce, rendendo effimera e ancora più carica poeticamente la sua virtuosa arte.

Il sito internet della statunitense, in proposito dice: "Crea opere che prosperano all'intersezione di musica e movimento, immagine e oggetto, luce e suono, scoprendo e intrecciando nuove modalità di percezione. La sua innovativa esplorazione della voce come strumento, come linguaggio eloquente in sé e per sé, espande i confini della composizione musicale, creando paesaggi sonori che portano alla luce sentimenti, energie e ricordi per i quali non ci sono parole”. Lei invece ha spesso dichiarato che intende “la musica così visivamente”.

Per il Teatro della Triennale si esibirà, in compagnia di due tra le sue collaboratrici più fidate, in una scelta di brani che abbracciano cinquant’anni della sua produzione, da “Songs from the Hill” (1975-1976) e “The Games” (1984) fino ai più recenti “Mercy” (2001) e “Cellular Songs” (2018). Lo spettacolo, che si intitola semplicemente "Meredith Monk in concerto con Katie Gissinger e Allison Sniffin", si terrà sabato 18 febbraio alle 19 e 30. I biglietti sono in vendita sul sito della Triennale.

Il giorno successivo invece (domenica19 alle 21) Meredith Monk sarà in conversazione al Pirelli Hangar Bicocca con Andrea Lissoni. Al centro dell’intervento dal vivo dell’artista americana la natura multidisciplinare del suo lavoro e di quello di Bruce Nauman. L’appuntamento è gratuito ma visto il numero limitato di posti è richiesta la prenotazione. Per farlo si dovrà andare sul sito del museo da venerdì 10 febbraio.