La fotografia dell'800 in Svizzera, tra paesaggi ritratti e documentazione di eventi storici

Adolphe Braun, Il ghiacciaio del Rodano, 1864 Albumina ETH-Bibliothek Zürich, Bildarchiv

Nel 1839 a Parigi nasce ufficialmente la Fotografia. Da quel momento in avanti la sua diffusione sarà rapida in tutto il vecchio e nuovo continente. E a contribuire in modo determiante a questo processo inarrestabile saranno i fotografi itineranti che con le loro pesanti macchine fotografiche si fermeranno anche nei più remoti villaggi, in pianura come in montagna, per scattare ritratti. Era il tempo dei dagherrotipi, sviluppati su lastra di rame, unici, e non riproducibili, da guardare da una determinata angolazione per cogliere l’immagine nella sua pienezza ma anche dotati di una nitidezza d’immagine e di una resa della realtà quasi tridimensionale.

E’ da quel periodo che prende le mosse la mostra “ Dal Vero Fotografia svizzera del XIX secolo” (curata da Martin Gasser e Sylvie Henguely), in corso al Museo d’arte della Svizzera italiana (MASI) di Lugano. L’esposizione, che raccoglie 400 fotografie provenienti da 60 collezioni pubbliche e private, è, infatti, un’indagine approfondita sulla fotografia nel paese d’oltralpe dalla sua comparsa fino all’ultimo decennio dell’800. Una cinquantina d’anni, imprevedibilmente ricchi di trasformazioni che le immagini documentano.

Considerati un’alternativa economica al ritratto pittorico, gli scatti fotografici, in poco tempo supporteranno l’industria turistica in espansione, contribuiranno a sviluppare un senso d’identià nella popolazione, congeleranno le scoperte scientifiche, la nascita di nuove infrastrutture e gli eventi storici.

“All’epoca, la gente non riusciva a capacitarsi che queste immagini erano vere e proprie riproduzioni della realtà e che l’artista non avesse modo di lustrarle o abbellirle a piacimento.” scriveva già nel 1865 la rivista di Berna “Illustrirter Volks-Novellist”. In poche parole le persone rimanevano spiazzate e spesso contrariate dall’impossibilità di alterare in qualche modo l’apparenza con la fotografia come si sarebbe fatto dipingendo. Ed è per questo che gli scambi tra foto e pittura nell’800 furono innumerevoli. Si coloravano e ornavano le stampe, si creavano degli sfondi (anche drettamente sul negativo) ma non solo: alcuni artisti producevano modelli fotografici per le proprie opere come promemoria o per evitare di dover realizzare schizzi dal vivo (è il caso per esempio del pittore e incisore svizzero Karl Stauffer-Bern).

La mostra è piuttosto esaustiva e arriva fino a delineare le origini delle foto segnaletiche o dei moderni documenti d’identità. “ Dal Vero Fotografia svizzera del XIX secolo” rimarrà al MASI di Lugano fino al 3 luglio 2022, dove è ancora in corso anche l’importante mostra dedicata a James Barnor.

Traugott Richard, Costume bernese, dalla serie «Costumes Suisses» 1883 c. Albumina, dipinta Collezione Fotostiftung Schweiz, Winterthur

Francis Frith, La cascata di Staubbach nella valle di Lauterbrunnen, 1863 c. Albumina ETH-Bibliothek Zürich, Bildarchiv

Carl Taeschler-Signer, Soldati francesi internati nella chiesa di St.Mangen, San Gallo, 1871 Albumina Stadtarchiv der Ortsbürgergemeinde St. Gallen

Jean Geiser, Donna velata, Algeri, 1870 c. Albumina Thomas Walther Collection

Adolphe Braun, Costruzione della ferrovia del Gottardo, ingresso del tunnel a Airolo, 1881-1882 Albumina Collezione Fotostiftung Schweiz, Winterthur

Gebrüder Taeschler, Ritratto di bambina, San Gallo, 1873 c. Stampa al carbone Collezione Fotostiftung Schweiz, Winterthur

Bulacher & Kling, Disastro ferroviario a M[ü]nchenstein, 1891 Albumina H. R. Gabathuler, Photobibliothek.ch, Diessenhofen

Anonimo, L’aspirante missionario David Asante 1862 c. Ambrotipia Archiv der Basler Mission

John Ruskin e John Hobbs, Il Cervino e il riflesso nel lago alpino. 8 agosto 1849 Dagherrotipo Courtesy of K & J Jacobson, UK

Gli scatti ingenui e spettacolari di Emile Rakotondrazaka, il padre della fotografia in bianco e nero del Madagascar

ÉCLIPSE SOLAIRE À ANTANANARIVO DU 21-06-2001 (photos prises toutes les 10 minutes, entre 16h et 17h)

Gli scatti del fotografo Emile Rakotondrazaka o Ramily, raccontano il Madagascar come una terra poetica ed atemporale. E lo fanno con la tecnologia della prima metà del secolo scorso (fotografia in bianco e nero stampata su carta al bario). Senza bizze: tra un paesaggio, un tramonto e un ritratto. Ma con una costruzione dell’immagine solida, che ne fanno una colonna portante nella ricerca contempomporanea del Paese insulare dell’Oceano Indiano.

Emile Rakotondrazaka nasce nel 1939 e dalla seconda metà degli anni ‘50 comincia ad appassionarsi e dedicarsi alla fotografia. Farà l’assistente di un fotografo itinerante girando nelle aree rurali a scattare foto-tessera per le carte d’identià. Dagli anni ‘60 in poi sarà uno dei primi proprietari di uno studio fotografico e tecnico della fotografia in Madagascar. Il suo lavoro raggiungerà la fama e la maturità tra gli anni ‘70 e gli anni ‘90 del secolo scorso. In particolar mondo in quel lasso di tempo, il suo laboratorio diventerà un punto di riferimento per le più eminenti personalità della cultura e della politica del Madagascar. Dai primi anni del nuovo millennio vivrà costretto su una sedia a rotelle ma morirà in tempi relativamente recenti (nel 2017).

Il suo soggetto preferito era il paesaggio. E il gusto con cui costruiva i suoi scatti, ingenui ma comunque spettacolari, è un mix di influssi, in cui l’Oriente è stranamente molto presente. Inutile dire che gli è suopravvissuto un grande archivio, composto da centinaia di paesaggi, stampe artisticamente lavorate, scatti di matrimoni in bianco e nero, ma anche eventi solenni e poesie.

Ramily è considerato il padre della fotografia in bianco e nero del Madagascar e la sua opera ha fortemente influenzato tutte le generazioni successive. Tra gli altri ha lavorato con Pierrot Men (anche lui malgascio, ma nato nel 1954). Adesso la sua opera è in mostra nella capitale del Madagascar, Antananarivo, nello spazio espositivo senza scopo di lucro, Hakanto Contemporary (ben 300 metri quadri), finanziato dall’amministratore delegato di Filatex (immobiliare ed energia pulita) e collezionista, Hasnaine Yavarhoussen.

Ma a volere dedicare questa retrospettiva- tributo al fotografo, Emile Rakotondrazaka, è stato il direttore: l’artista Joël Andrianomearisoa (conosciuto per aver rappresentato il Madagascar alla Biennale di Venezia 2019). L’esposizione si intitola RAMILY ILAY NANAO NY MARAINA (Ramily: The one who will reveal the day) e ne ripercorre l’intera carriera. Sarà visitabile dal 28 aprile fino al 31 luglio, anche se nel non proprio vicinissimo Paese insulare africano.

LES DEUX VISAGES DU LAC ANOSY.

LES AMOUREUX D’IHOROMBE (BESSA SY LOLA). 1998.

LES REFLETS DU COUCHER DE SOLEIL À SOAVINANDRIANA.

AUTOPORTRAIT

AUTOPORTRAIT

I favolosi swinging sixties ghanesi di James Barnor

James Barnor, Two friends dressed for a church celebration with James’ car, Accra, 1970s Modern Silver Gelatin Print © James Barnor/Autograph ABP, London

Nato nel 1929 in Ghana, James Barnor, ha catturato con la sua fotografia al tempo stesso spontanea e pensata, ironica e appariscente, lo spirito di sei decenni in due diversi continenti. Al centro delle sue immagini, bianco e nero negli esordi e coloratissime durante i favolosi sixties, sempre la comunità africana. La musica, la moda, il costume, il desiderio di emancipazione, la sconfitta e la diaspora.

Alla base delle grandi carriere c’è sempre una componente personale e una affidata al puro caso. Non c’è dubbio che la fotografia di James Barnor risenta positivamente del clima di attesa gioiosa che investiva il Ghana mentre lui muoveva i suoi primi passi nella professione. Il paese africano, infatti, si stava progressivamente affrancando dal colonialismo inglese e riponeva molte speranze nell’astro nascente del leader Kwame Nkrumah. La musica highlife si stava imponendo e il boxeur ghanese Roy Ankrah mostrava il suo talento all’estero.

Dopo un periodo da ritrattista, Barnor, comincia a documentarre quel che succede in strada. “Se avevo bisogno di una foto -dirà anni dopo- o di una nuova storia, mi precipitavo al mercato di Makola, dove la gente si comporta in modo più simile a se stessa. Questo mi piaceva di più della fotografia in studio. Usavo una piccola macchina fotografica. Era ottimo per trovare storie”.

Di lì al fotogiornalismo il passo è stato breve e Barnor è diventato collaboratore del Daily Graphic. Tra le sue foto quella di un giovane Kwame Nkrumah, mentre, appena scarcerato per assumere a furor di popolo la guida del Paese, calcia un pallone. Ma anche di Roy Ankrah tra allenamenti e tempo libero.

Da quel momento in poi, James Barnor, continuerà a raccontare la realtà intorno a se, spostandosi con abilità dall’attualità da giornale, alle copertine dei dischi, fino alla moda.

Nel ‘59 si trasferirà a Londra dove racconterà i favolosi anni sessanta mettendo al centro della sua opera la comunità afro-inglese. Lavorerà tra l’altro per la rivista sudafricana Drum (baluardo anti-apartheid), dove metterà in copertina modelle di orgine africana come come Erlin Ibreck e Marie Hallowi.

Lì studierà le tecniche della fotografia a colori presso il Colour Processing Laboratories (principale laboratorio della Gran Bretagna). Per poi tornare in Ghana e portare questo nuovo modo di documentare il presente anche là: “Il colore ha davvero cambiato le idee della gente sulla fotografia- racconta- Il kente è un tessuto ghanese intrecciato con molti colori diversi e la gente voleva essere fotografata dopo la chiesa o in città indossando questo tessuto, quindi la notizia si diffuse rapidamente”.

Inutile dire che col tempo i suoi scatti diventeranno l’archivio del costume di un popolo. Di quel periodo (1974) anche la collaborazione con la compagnia petrolifera italiana Agip (per cui farà le fotografie di un calendario promozionale).

Nel ‘94 tornerà a Londra dove vive ancora oggi. Al Masi di Lugano è in corso la mostra “James Barnor: Accra/London – A Retrospective”, ideata e organizzata proprio oltremanica da Serpentine Galleries (a cura di Lizzie Carey-Thomas, capo curatrice Serpentine e dell'assistente curatrice Awa Konaté di Culture Art Society). L’esposizione, che presenta 200 lavori, continuerà fino al 31 luglio a Palazzo Reali, per spostarsi nella primavera 2023 al Detroit Institute of Arts. Imperdibile, anche perchè l’opera di James Barnor, nonostante il grande influsso sui fotografi di tutto il mondo, è stata riscoperta solo da pochi anni.

James Barnor, Medway College, Rochester, c.1960-1963 Gelatin silver print © James Barnor. Courtesy Galerie Clémentine de la Féronnière

James Barnor Sick-Hagemeyer shop assistant with bottles, taken as a colour guide, Accra, 1971 C-Type print © James Barnor/Autograph ABP, London

James Barnor Mike Eghan at Piccadilly Circus, London, 1967 Modern Silver Gelatin Print © James Barnor/Autograph ABP, London

James Barnor Marie Allowi, Drum cover girl, Rochester, Kent, 1966 Modern Silver Gelatin Print © James Barnor/Autograph ABP, London

James Barnor Photoshoot of musician, Salaga Market, Accra, c.1974-1976 Modern Silver Gelatin Print © James Barnor courtesy galerie Clémentine de la Féronnière, Paris

James Barnor AGIP Calendar Model, 1974 Lamda Print © James Barnor/October Gallery, London

James Barnor Kwame Nkrumah in his PG (Prison Graduate) cap, kicking a football before the start of an international match at Owusu Memorial Park in Fadama, Accra, 1952 Modern Silver Gelatin Print © James Barnor courtesy galerie Clémentine de la Féronnière, Paris

James Barnor Untitled, Studio X23, Accra, c.1975 Modern Silver Gelatin Print © James Barnor/Autograph ABP, London

James Barnor Baby on All Fours, Eric Nii Addoquaye Ankhra, Ever Young Studio, Accra, c. 1952 Modern Silver Gelatin Print © James Barnor. Courtesy galerie Clémentine de la Féronnière, Paris

James Barnor Evelyn Abbew, Ever Young Studio, Accra, c.1955-1956 Modern Silver Gelatin Print © James Barnor/Autograph ABP, London

James Barnor Roy Ankrah during road work, Accra, 1951 Modern Silver Gelatin Print © James Barnor courtesy galerie Clémentine de la Féronnière, Paris