Oliver Beer che fa cantare vasi, pentole ed edifici

Oliver Beer, Rights / Unattained Goals (installation view), 2020, installation, sound, speakers, vessels, mixed media, plinths. Commissioned by the 2nd Riga International Biennial of Contemporary Art, RIBOCA2. Photo by Hedi Jaansoo. Courtesy of the Riga International Biennial of Contemporary Art.

Nell’opera Household Gods (Aspazija), l’artista inglese Oliver Beer, ha raccolto diversi oggetti riconducibili alla scrittrice lettone Aspazija (moglie del più celebre poeta Rainis fu tra le prime femministe della Lettonia), li ha messi su un piedistallo, microfonati uno per uno e ha amplificato la loro voce. Usandola poi per comporre melodie.

E’ un lavoro molto simile ad altri del trentasettenne Oliver Beer. L’artista, infatti, si è convinto presto che dentro ogni oggetto inanimato si nasconda un suono che merita di essere reso udibile ed ascoltato. E talvolta, ma solo talvolta, una nota perfetta. Come è successo al Metropolitan Art Museum di New York nel 2019 quando con Vessel Orchestra ne ha trovate 32. Ognuna stava all’interno di un reperto in collezione al museo ma per scovarle tutte ha dovuto esaminare un gran numero di oggetti. Anzi ascoltarli come si farebbe con i cantanti ad un provino.

"Per questo pezzo, ho ascoltato centinaia e centinaia di oggetti- ha detto ai tempi alla rivista Newyorker- Ci sono pochissimi oggetti che cantano nella sala occidentale. C'era un Brancusi, la "musa dormiente", che avrei incluso. Ma cantava forte”.

Alla fine Beer si decise per un gruppo di voci più multietnico e il cantante più anziano fu un vaso libanese del VII secolo avanti Cristo. I suoni emessi da ciascuno erano collegati a una tastiera e l’artista o chi per lui li usava per suonare, esattamente come si farebbe con le note generate da un pianoforte.

Come in Household Gods (Aspazija) soltanto che in questo caso gli oggetti scelti invece di avere a che fare con la Storia rappresentavano l’intimità. A testimonianza di questo il nome della serie di cui il lavoro, commissionato e realizzato per la seconda edizione della Biennale di Riga (Riboca), fa parte: Household Gods, Divinità domestiche. Cui appartengono anche le installazioni Nonna, Madre e Sorella.

Spingendo la pratica di Beer, già in bilico tra arti visive, performative e musicali (si certe barriere sono già state abbattute da tempo ma mai del tutto), in un terreno sempre più remoto a ridosso del post-concettuale ma irrigato dall’affettività e nutrito dalla poesia.

Il suo trattamento dei materiali estende il sentimento- scrive di lui la Biennale di Riga- dove vasi con 'voci' si liberano dalle dualità costruite dell'animato e dell'inanimato, del soggetto e dell'oggetto, vivente e non vivente. Questo approccio inquadra il lavoro di Beer nella linea del pensiero animista, una convinzione attraverso la quale si riconosce la forza vitale che anima tutti gli esseri, dai manufatti agli elementi della natura.”

D’altra parte Oliver Beer ha un profilo particolare. Come ci si potrebbe aspettare da uno che oltre agli oggetti fa cantare anche gli edifici. "Sin da quando ero un bambino, potevo sentire le note degli edifici" ha detto al periodico Wallpaper.

Per farlo individua dei punti precisi in cui mettere dei cantanti che spingono l’architettura a suonare da sola. Come ha fatto più di una volta al Centre Pompidou di Parigi (uno tra i tanti capolavori di Renzo Piano). “Quando ci sono andato per la prima volta- ha ricordato recentemente su Instagram- ho scoperto che quando si canta un sol perfetto lo spazio risuona così potentemente che non puoi più nemmeno sentire la tua stessa voce, solo il tunnel di vetro che risuona intorno a te come una vasta canna d'organo architettonica. È una sorta di esperienza indescrivibile e viscerale”.

Un’altra importante intuizione di Beer si trova in Composition for Mouths (Songs my Mother Taught Me). L’opera è nata quasi per caso durante un giorno di prove reso clandestino da una manifestazione: per la sicurezza Beer se ne doveva andare, lui non ne voleva sapere, così ha finto di uscire per poi tornare ma ha dovuto trovare uno stratagemma per non farsi sentire. Così ha chiesto ai perfromers di cantare la prima canzone che ricordassero gli uni nella bocca degli altri. Le immagini sembrano quelle di persone che si baciano con trasporto ma il suono che esce dai loro nasi è una fusione di due voci e due canti. Persino due lingue e due culture.

Oliver Beer vive tra Londra e Parigi. Ha un sito internet e un account Instagram in cui condivide vari momenti del suo lavoro. La Biennale di Riga, in cui avrebbe dovuto presentare l’intera serie di installazioni Household Gods (in realtà Riboca 2 non aprì mai per la pandemia), vedrà la sua terza edizione la prossima estate.

Oliver Beer, Simple Rights / Unattained Goals (detail of installation), 2020, installation, sound, speakers, vessels, mixed media, plinths. Commissioned by the 2nd Riga International Biennial of Contemporary Art, RIBOCA2. Photo by Olga Sivel. Courtesy of the Riga International Biennial of Contemporary Art.

Oliver Beer, Simple Rights / Unattained Goals (Household Gods (Aspazija), (detail of installation), 2020, installation, sound, speakers, vessels, mixed media, plinths. Commissioned by the 2nd Riga International Biennial of Contemporary Art, RIBOCA2. Photo by Hedi Jaansoo. Courtesy of the Riga International Biennial of Contemporary Art.

Oliver Beer, Simple Rights / Unattained Goals (detail of installation), 2020, installation, sound, speakers, vessels, mixed media, plinths. Commissioned by the 2nd Riga International Biennial of Contemporary Art, RIBOCA2. Photo by Olga Sivel. Courtesy of the Riga International Biennial of Contemporary Art.

La monumentale installazione di forme iperboliche di Daina Taimina. Fatta lavorando all'uncinetto i rifiuti

Daina Taimiņa, Dreams and Memories, 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Didzis Grozds

La monumentale installazione “Dreams and Memories” della matematica e artista lettone, Daina Taimina, composta da centinaia e centinaia di elementi fatti all’uncinetto Forme iperboliche, in realtà, (capaci cioè di illustrare visivamente lo spazio iperbolico). Non meraviglia solo per la richezza cromatica ma anche perchè è stata realizzata lavorando, oltre alle fibre: sacchetti di plastica, vecchi fogli di carta, magliette, collant, nastri audio e VHS

Nata nel ‘54 a Riga in Lettonia, Daina Taimina, è diventata famosa alla fine degli anni ‘90, mentre era docente alla Cornell University nello stato di New York, per aver inventato i modelli all’uncinetto dei piani iperbolici. Fino a quel momento la geometria iperbolica, infatti, era difficile da esplorare con gli occhi e da toccare. Gli insegnanti mostravano agli studenti delle forme di carta poco intuitive ed impossibili da manipolare. Taimina cambiò tutto questo. Da allora esiste il termine uncinetto iperbolico e la matematica lettone è stata invitata in tutto il mondo a parlare del suo approccio didattico e ad esporre i suoi oggetti come opere d’arte.

L’installazione “Dreams and Memories” è stata realizzata per la seconda edizione della Riga International Biennial of Contemporary Art (o Riboca). Cioè la Biennale d’Arte Contemporanea di Riga. E mai resa visibile al pubblico per l’interruzione dell’evento causa COVID.

Ma cos’è la geometria iperbolica? “Fu scoperta nel diciannovesimo secolo-spiega il catalogo della biennale- come la terza possibilità di geometrie su superfici bidimensionali, insieme a geometrie piane e sferiche. Viene utilizzato per descrivere superfici con curvatura negativa costante. Alcune di queste forme si possono trovare in natura, come nei coralli, nell'agrifoglio,nelle foglie di cavolo e nelle lumache di mare. Lo spazio iperbolico rappresenta una grande rivoluzione nella storia della matematica e della percezione umana, poiché ha sfidato il monopolio della geometria euclidea(...)basato su simmetria e ordine perfetti, la geometria iperbolica ha permesso la formalizzazione di sistemi caotici e disordinati.

Dall’invenzione dei modelli iperbolici all’uncinetto derivano altre esplorazioni dell’uso di questa antica tecnica (come la mappatura dei coralli) e in generale nuova linfa alle arti tessili, da poco libere di muoversi al di fuori del consueto recinto dell’artigianato.

L’installazione “Dreams and Memories” ricorda un colorato arcipelago, ma fa anche pensare a un collage di territori immortalati dalla fotografia aerea e alla biodiversità. Oltre ad evocare la quotidianità e una serie di memorie personali che le lavorazioni artiginali portano immancabilmente con se. Ma fondamentalmente è un’opera astratta. Nonostante le fibre interamente riciclate (dagli acrilici alla lana riciclata, fino a materiali più inconsueti come i nastri delle vecchie audio e video cassette) ci parlino di ecologia.

Ogni pezzo di cui si compone la grande scultura è stato fatto a mano. Per costruirla è stato necesssario il contributo di molti volontari: singole persone ma anche intere comunità.

"L'approccio pedagogico sviluppato da Daina Taimiņa, che coinvolge la popolare tecnica dell'uncinetto nella produzione dei suoi modelli, è per molti versi sovversivo. L'uncinetto è tradizionalmente considerato un passatempo riservato alle donne, praticato all'interno della casa e dedito alla creazione di abiti per la famiglia o accessori.(...) L'installazione di Daina Taimiņa per la Biennale consiste in centinaia di forme iperboliche, variazioni ed espansioni di quelle che in precedenza aveva usato come modelli pedagogici con i suoi studenti."

La terza edizione della Riga International Biennial of Contemporary Art si terrà la prossima estate. Daina Taimina ha un sito internet su cui è possibile vedere alcune delle sue complesse installazioni fatte all’uncinetto riproducendo forme iperboliche più e più volte.

Daina Taimiņa, Dreams and Memories, 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Hedi Jaansoo

Daina Taimiņa, Dreams and Memories (installation detail), 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Olga Sivel

Daina Taimiņa, Dreams and Memories, 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Hedi Jaansoo

Daina Taimiņa, Dreams and Memories (installation detail), 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Olga Sivel

Daina Taimiņa, Dreams and Memories (installation detail), 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Olga Sivel

Daina Taimiņa, Dreams and Memories (installation detail), 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Hedi Jaansoo

Daina Taimiņa, Dreams and Memories (installation detail), 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Olga Sivel

Daina Taimiņa, Dreams and Memories (installation detail), 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Hedi Jaansoo

Una foto interattiva da 717 gigapixel per guardare La Ronda di Notte di Rembrandt come non si era mai vista

All images courtesy of Rijksmuseum

Quella scattata a la Ronda di notte (De Nachtwacht), il capolavoro di Rembrand completato nel 1642, è la foto più grande mai fatta ad un’opera d’arte (molto più grande di quella precedentemente resa disponibile). Ben 717 gigapixel in totale che permettono di vedere anche dettagli invisibili ad occhio nudo. Per realizzarla è stato necessario cucire insieme 8439 immagini di grande formato con l’aiuto dell’intelligenza artificiale. E adesso il risultato è a disposizione di tutti sul sito del Rijksmuseum di Amsterdam.

La fotografia è ad altissima definizione. Si compone, infatti, di 71 miliardi di pixel, talmente minuscoli da essere più piccoli di un globulo rosso umano.

"Il team- è spiegato sul sito internet del museo olandese- ha utilizzato una fotocamera Hasselblad H6D 400 MS da 100 megapixel per realizzare 8439 foto individuali di 5,5 cm x 4,1 cm. L'intelligenza artificiale è stata utilizzata per unire insieme queste fotografie più piccole per formare l'immagine finale di grandi dimensioni, con una dimensione totale del file di 5,6 terabyte".

Il risultato, parte del più ampio progetto di ricerca e conservazione Operation Night Watch, è sorprendente. Esplorare La Ronda di Notte è molto facile e permette di vedere i dettagli delle pennellate, spatolature e sovrapporsi di toni, oltre a minuscole crepe e punti in cui la massa cromatica è deteriorata o perduta. Come nel caso del cagnolino non lontano dal capitano Frans Banning Cocq (il committente di Rembrandt, posto al centro della scena) di cui si conserva solo un abbozzo.

D’altra parte il grande olio su tela di Rembrandt (misura quasi 4 metri per 4 metri e 38 centimentri), noto anche come Notte di veglia o La guardia civica in marcia, ha una storia molto travagliata alle spalle. Lo stesso nome che porta è frutto di un fraintendimento settecentesco. Infatti, quando venne spostato nel municipio di Amsterdam (1715), era deturpato da uno strato di sporco talmente fitto da venire scambiato per una scena notturna. Ai tempi si decise anche di restringerlo per adattarlo a una parete altrimenti troppo piccola. Così il capolavoro del maestro di Leida venne privato di una striscia verticale di un metro di base sul lato destro e di una di circa 30 centmentri su quello sinistro. Un vandalismo figlio dell’ignoranza e di un’epoca turbolenta a cui ne seguì un secondo nel 1975 (un pazzo lo colpì più e più volte con un coltello, procurandogli 13 squarci) e un terzo negli anni ‘90 (spruzzato d’acido, il dipinto, per fortuna questa volta non riportò danni).

Il team del Rijksmuseum di Amsterdam si è spinto però oltre il restauro (ancora in corso) e la fotografia interattiva ad altissima risoluzione. E attraverso un dettagliato confronto con una copia de La Ronda di Notte, custodita alla National Gallery di Londra, ha ricreato le parti mancanti dell’opera, senza ancora una volta disdegnare l’aiuto dell’intelligenza artificiale. (via Newatlas)