La scultura bronzea di Bharti Kher come una mamma con 23 bambini invadenti accoglie i passanti a Central Park

Bharti Kher, “Ancestor”, 2022 Courtesy the artist; Hauser & Wirth; Perrotin; Nature Morte, New Delhi; and is in the collection of the Kiran Nadar Museum of Art, New Delhi. Presented by Public Art Fund at Doris C. Freedman Plaza, New York City, September 8 – August 27, 2023. Photo: Nicholas Knight, Courtesy of Public Art Fund, NY

Dai primi di settembre in Doris C. Freedman Plaza, all'ingresso sud-est di Central Park (New York City), Ancestor, una grande scultura in bronzo patinato policromo dell’artista indiana Bharti Kher, accoglie i passanti insieme ai 23 figli che le spuntano dal corpo. Sembra fatta di argilla ma è un’illusione, Kher ha solo dipinto il metallo, per farlo apparire uguale alla teracotta.

Alta 5 metri e mezzo circa, l’opera, è prima di tutto un monumento diverso dagli altri. Rappresenta una figura femminile, secondo la consuetudine dell’artigianato indiano. Ma soprattutto non celebra una persona o un evento storico. E’ piuttosto un tributo alla femminiltà, alla maternità, al succedersi della vita, ai legami famigliari ed umani, così come alla trasformazione e alla memoria.

Invito gli spettatori ha detto Bharti Kher- a lasciare i propri desideri, sogni e preghiere ad Ancestor; e trasmettere la loro saggezza di vita e amore alla generazione successiva".

Il monumento, che rappresenta una grande figura femminile allegorica, collocato a New York City, non può che far pensare alla Statua della Libertà. Così, Ancestor, con i suoi 23 figli, che: "manifestano un senso di appartenenza -dicono gli organizzatori- e celebrano la madre come custode della saggezza e fonte eterna di creazione e rifugio”, finisce per simboleggiare pure multiculturalismo, pluralismo e interconnessione.

Ancestor è la riproduzione su scala monumentale di uno degli assemblage che compongono la serie Intermediaries. Kher, infatti, da parecchi anni a questa parte raccoglie le figurine d’argilla vivacemente colorate, che nel sud dell’India vengono esposte durante le festività autunnali. Poi le rompe e le ricrea, attaccado pezzi dell’una all’altra. Le sculture che nascono in questo modo, sono per l’artista un omaggio alla trasformazione e una maniera di esprimere messaggi complessi, semplicemente usando parti di immagini banali sia nell’aspetto che nel significato,

Nata a Londra nel ‘69, Bharti Kher, è tornata in India nel ‘93, poco dopo aver completato gli studi. Oggi è’ un’artista famosa, rappresentata dalla galleria Perrotin e con opere conservate alla Tate Modern di Londra, alla Vancouver Art Gallery e al Walker Art Center di Minneapolis. E’ sposata con Subod Gupta (a sua volta artista indiano di successo), con cui vive nei pressi di Delhi.

La grande scultura in bronzo policroma, Ancestor, di Bharti Kher rimarrà a New York City fino al 27 agosto 2023. E, fino a quella data, sarà un’opera d’arte pubblica. L’esposizione, infatti, è organizzata dal Public Art Fund. L’artista, oltre a mostrare le immagini del suo lavoro sul suo sito internet, le condivide su Instagram.

Bharti Kher, “Ancestor”, 2022 Courtesy the artist; Hauser & Wirth; Perrotin; Nature Morte, New Delhi; and is in the collection of the Kiran Nadar Museum of Art, New Delhi. Presented by Public Art Fund at Doris C. Freedman Plaza, New York City, September 8 – August 27, 2023. Photo: Nicholas Knight, Courtesy of Public Art Fund, NY

Bharti Kher, “Ancestor”, 2022 Courtesy the artist; Hauser & Wirth; Perrotin; Nature Morte, New Delhi; and is in the collection of the Kiran Nadar Museum of Art, New Delhi. Presented by Public Art Fund at Doris C. Freedman Plaza, New York City, September 8 – August 27, 2023. Photo: Nicholas Knight, Courtesy of Public Art Fund, NY

Bharti Kher, “Ancestor”, 2022 Courtesy the artist; Hauser & Wirth; Perrotin; Nature Morte, New Delhi; and is in the collection of the Kiran Nadar Museum of Art, New Delhi. Presented by Public Art Fund at Doris C. Freedman Plaza, New York City, September 8 – August 27, 2023. Photo: Nicholas Knight, Courtesy of Public Art Fund, NY

Bharti Kher, “Ancestor”, 2022 Courtesy the artist; Hauser & Wirth; Perrotin; Nature Morte, New Delhi; and is in the collection of the Kiran Nadar Museum of Art, New Delhi. Presented by Public Art Fund at Doris C. Freedman Plaza, New York City, September 8 – August 27, 2023. Photo: Nicholas Knight, Courtesy of Public Art Fund, NY

Bharti Kher, “Ancestor”, 2022 Courtesy the artist; Hauser & Wirth; Perrotin; Nature Morte, New Delhi; and is in the collection of the Kiran Nadar Museum of Art, New Delhi. Presented by Public Art Fund at Doris C. Freedman Plaza, New York City, September 8 – August 27, 2023. Photo: Nicholas Knight, Courtesy of Public Art Fund, NY

I paesaggi sconfinati, silenziosi e indifferenti di Jessie Homer French. Da vedere nell'ultimo fine settimana di Biennale

Jessie Homer French, Winter Eden, Chernobyl, 2018 Oil on canvas 55.88 × 71.12 cm Collection Judi Roaman and Carla Chammas All works with the additional support of VARIOUS SMALL FIRES, Los Angeles; MASSIMODECARLO 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi

Il silenzio dei dipinti di Jessie Homer French è vigile. Mentre la realtà luccica fendendo come una lama i paesaggi onirici. C’è la morte. Ma non c’è dolore. Anzi un soffuso senso di tenerezza, d’affetto, per una natura dalla bellezza nitida e umilmente maestosa. Per un cimitero in cui pascolano i cervi. Che diventa paesaggio. In lontananza magari il fumo, pronto a mutare in un incendio vigorosono nella prossima tela. O a continuare ad alzarsi silenzioso. stregato, come il resto della composizione, dall’indifferenza che possiede la scena.

Nata a New York, Jessie Homer French, è partita presto. Sognava l’Ovest, la sua luce, i paesaggi piatti e sconfinati. Così, insieme al marito ha percorso la route 66; Jack Kerouac sarebbe morto 10 anni dopo, ma a lei l’ West faceva pensare alle novelle avventurose di Zane Grey. E se ne innamorò.

La coppia concluse il viaggio a Los Angeles e lì rimase per parecchi anni. Adesso però, Homer French vive in un posto sperduto in mezzo alla natura, proprio ai confini con il deserto (Mountain Center, nelle San Jacinto Mountains), dove trova continui spunti per i suoi quadri. Opere ricche di particolari, che l’artista dipinge con precisione sulle ampie campiture che delineano gli orizzonti sconfinati, con semplicità e mano ferma, come fossero decorazioni. D’altra parte, Homer French, è autodidatta e il suo stile, che ha perfezionato dagli anni ‘60 fino ad oggi, è vagamente ispirato ai fumetti. Adesso ha 82 anni ed è nella scuderia di Massimmo de Carlo (che nel 2021 le ha dedicato una mostra nella sua sede londinese), alcune tra le sue opere sono state collocate in collezioni importanti come quella dello Smithsonian, mentre sei tele sono volate a Venezia, per partecipare alla 59esima Esposizione Internazionale d’Arte, Il Latte dei Sogni. Dove la curatrice, Cecilia Alemani, le ha riservato un posto all’inizio del percorso in Arsenale.

Jessie Homer French, non sempre ma spesso, affronta temi come le catastrofi ambientali. Un argomento in grado di attualizzare dipinti altrimenti atemporali. E poi le composizioni di Homer French, si reggono sempre su un contrasto che spiazza l’osservatore. Sia esso l’incendio su una piattaforma petrolifera, mentre i pesci a branchi nutano tranquilli nell’acqua cristallina, o un funerale dove la bara del defunto è talmente coperta di fiori da diventare il punto focale del quadro, quello dove le decorazioni e i colori appagano lo sguardo. Nonostante l’artista sembri farci vedere le scene che registra in modo obbiettivo, le immagini davanti ai nostri occhi hanno un sapore surreale, un’atmosfera onirica che possiede le tele e sembra sottrarle allo scorrere del tempo.

"Credo che i paesaggi si imprimano nelle persone- ha detto l'artista in un'intervista a Repubblica- È un processo lento che richiede tempo, a volte anni. Per esempio sto capendo solo ora come dipingere il deserto. È difficile adattarsi a un nuovo ambiente fisico a tutti i livelli, e imparare a dipingerlo è ancora più difficile".

Alla Biennale di Venezia sono esposte sei tele di Jessie Homer French. Ci sono cimiteri immersi nella natura (con i morti rappresentati come fossero addormentati sotto terra), catastrofi ambientali e il deserto sconfinato. Ma per vedere i paesaggi dipinti dall’artista californiana (e molto altro, ovviamente) resta tempo solo fino a domenica prossima.

Jessie Homer French, Mojave Stealth Bombers, 2013 Oil on canvas 33 × 123 × 4 cm Private Collection All works with the additional support of VARIOUS SMALL FIRES, Los Angeles; MASSIMODECARLO 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi

Jessie Homer French, Installation View All works with the additional support of VARIOUS SMALL FIRES, Los Angeles; MASSIMODECARLO 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi

Jessie Homer French, Installation View All works with the additional support of VARIOUS SMALL FIRES, Los Angeles; MASSIMODECARLO 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi

Jessie Homer French, Installation View All works with the additional support of VARIOUS SMALL FIRES, Los Angeles; MASSIMODECARLO 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi

Jessie Homer French, Installation View All works with the additional support of VARIOUS SMALL FIRES, Los Angeles; MASSIMODECARLO 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi

La pittura malinconica e surreale dell'afroamericano Noah Davis vola in asta

Noah Davis, The Conductor, 2014 Oil on canvas 175.3 × 193 cm The Estate of Noah Davis All works with the additional support of David Zwirner 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Scomparso nel 2015 a soli 32 anni, il pittore afroamericano Noah Davis, in mostra a Venezia durante gli ultimi giorni d’apertura della 59. Esposizione Internazionale d’Arte- Il latte dei sogni, è stato uno dei protagonisti dell’asta tenutasi da Christie’s a New York la settimana scorsa. Il suo olio su tela, Congo #7, infatti, è stato aggiudicto per un milione e mezzo di dollari, superando la stima massima attribuitagli di 300 mila dollari. D’altra parte, tutti gli afroamericani sono andati a gonfie vele, con la nigeriana che vive a Los Angeles, Njideka Akunyii Crosby, arrivata alla bella cifra di 4 milooni e 700 mila dollari per un dipinto.

Noah Davis, figlio di un avvocato ed una educatrice, cominciò a dipingere con impegno fin dalla prima adolescenza, tanto che pare avesse già uno studio a soli 17 anni. Nel 2012, insieme alla moglie, la scultrice Karon Davis e al fratello Kahlil Joseph (artista a sua volta), ha fondato l’Underground Museum, nel quartiere storicamente popolare afroamericano e latinoamericano di Arlington Heights, a Los Angeles. L’idea era di portare l’arte dei musei ad una comunità che, in linea di massima, nei musei non metteva piede. Davis tuttavia, colpito da una rara forma di tumore ai tessuti molli, morirà solo tre anni dopo, senza avere il tempo di apprezzare i risultati del suo progetto.

Il successo della sua opera ha fatto, invece, in tempo a intravederlo. Sfumato forse, come una delle figure al centro dei suoi dipinti. Sempre sospese, tra realtà, ricordi e universi onirici.

"Richiamando- scrive di lui Ian Wallace sul sito della Biennale di Venezia- una generazione precedente di artisti americani, come Fairfield Porter, Jacob Lawrence e Palmer Hayden, la sua opera è parimenti influenzata dalla figurazione di Marlene Dumas e Luc Tuymans".

Ma il lavoro di Noah Davis, ricorda anche altri artisti. Per esempio, Francis Bacon, di cui però gli manca la rabbia lacerante. Al centro della pittura di Davis spesso ci sono momenti atemporali, sospesi. L’inquietudine può far sentire il suo respiro ma non è mai al centro dell’istante ritratto o della storia tratteggita. Spesso c’è anche un soffio di amara ironia, come in: 40 Acres and a Unicorn (2007). Il titolo si riferisce ai “quaranta acri e un mulo” che si diceva sarebbero stati dati alle famiglie degli schiavi liberati alla fine della Guerra civile americana. "con l’ironia del Realismo Magico, evoca l’amara delusione di fronte agli sforzi del governo statunitense volti a fornire manodopera salariata alle piantagioni piuttosto che ai diritto dei neri".

Più spesso però, nelle sue storie, inumidite di malinconia o ferite dai toni scuri della tavolozza, a colpire è l’atmosfera surreale. Come quando, in Isis, la moglie di Davis, vestita con un costume dorato, con ai lati due grandi ventagli simili ad ali, si trasforma nella dea egizia della magia. O in The Conductor, un uomo in smoking. in ecquilibrio su una sedia, dirige un’orchestra invisibile. Nulla di tutto ciò in Congo #7, dove i pensieri dei tre giovani protagonisti riempiono la scena, retta da una composizione rigorosa e da una tavolozza dai pochi colori ma studiata con attenzione.

Le atmosfere surreali della pittura solida e ricercata di Noah Davis, si potranno vedere all’Arsenale, fino alla conclusione della Biennale di Venezia (il 27 novembre), ormai arrivata al rush finale.

Noah Davis « Congo #7» (particolare). Immagine: screenshot da video

Noah Davis, The Future’s Future, 2010 Oil on canvas 152.4 × 188 cm Private Collection All works with the additional support of David Zwirner 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Noah Davis, Installation view. All works with the additional support of David Zwirner 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Noah Davis, Installation view. All works with the additional support of David Zwirner 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia