Da ottobre al Pirelli Hangar Bicocca di Milano, James Lee Byars, il minimalista che amava l’oro

James Lee Byars Red Angel of Marseille, 1993 Vetro rosso, 1000 parti Ciascuna: ⌀ 11 cm Totale: 1100 x 900 x 11 cm FNAC 99316 Centre National des Arts Plastiques In deposito presso Centre Pompidou, Parigi Veduta dell’installazione, IVAM, Instituto Valenciano de Arte Moderno, 1995 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra

Scomparso nel ’97, durante un viaggio in Egitto, per un tumore allo stomaco che lo affliggeva da tempo, l’artista James Lee Byars, fondeva elementi della cultura orientale ed occidentale, in un’opera capace di fare tesoro del paradosso, mentre indagava la tensione dell’uomo verso l’irraggiungibile perfezione. Usava materiali preziosi, o almeno che potessero apparire tali, e li sposava a forme minimali. Il suo lavoro era pieno di simboli, un po’ esoterici e un po’materialisti, un po’ universali e un po’ personali (anche se, forse, la sfera e l’oro, sono quelli più noti) Performer, scultore e artista concettuale, aveva fatto di sé stesso un personaggio, che è stato descritto come "mezzo imbroglione e mezzo veggente minimalista”. Che sia proprio per questo o nonostante questo, Byars, è ricordato ancora adesso con affetto da un’ampia schiera di persone che hanno avuto occasione di conoscerlo e magari di ricevere le sue lettere (ne scriveva moltissime, a critici, altri artisti e amici in genere, le decorava, ritagliava e, a volte, ripiegava come origami; oggi sono considerate una parte fondamentale del suo lavoro). Tra loro anche l’attuale direttore del Pirelli Hangar Bicocca, Vicente Todoli, che a ottobre ospiterà una sua mostra.

L’esposizione “Nasce anche-spiegano - dalla stretta relazione instaurata tra Vicente Todolí e James Lee Byars, al quale il curatore ha dedicato due mostre personali all’IVAM Centre del Carme di Valencia nel 1994 e al Museu Serralves di Porto nel 1997, dei quali in passato è stato anche direttore”.

Organizzata in collaborazione con il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid e con il supporto dell’Estate di James Lee Byars, la mostra al Pirelli Hangar Bicocca di Milano, è la prima retrospettiva dedicata a Byars, in Italia, dalla sua scomparsa. Raccoglierà una vasta selezione di opere scultoree e installazioni monumentali (realizzate dal 1974 al 1997), perché ha un focus particolare sui lavori più grandi e i materiali più preziosi maneggiati dall’artista americano (come marmo, velluto, seta, foglia d’oro e cristallo). Le opere scelte, proverranno tutte da collezioni museali internazionali, alcune raramente esposte, verranno presentate in Italia per la prima volta.

Concepiamo sempre retrospettive site-specific- ha detto Vicente Todoli- che dialogano con l’architettura di Pirelli HangarBicocca. Nella sua pratica James Lee Byars era solito adattare il suo corpus di opere allo spazio in cui veniva esposto, creando così una mostra che fosse essa stessa un'installazione complessiva. Pertanto, la nostra selezione di opere interagisce con l'ambiente ex industriale delle Navate, sfidandoci a interpretare lo spazio secondo l'approccio concettuale dell'artista”.

Nato negli Stati Uniti nel ’32, James Lee Byars, è stato un artista minimalista e barocco. Capace di conciliare l’opulenza dell’oro, di cui faceva uso largo e costante (se il budget non gli permetteva materiali più nobili, si accontentava di colori industriali pur di non rinunciarvi) con forme pure ricorrenti come il cerchio, la sfera, il cilindro ecc. Tutto comunque, era scelto per rientrare in un suo personale culto esoterico in cui elementi rituali e simboli evocativi si sostengono. A Venezia, in occasione dell’installazione della sua opera “Golden Tower”, il curatore Alberto Salvadori, ha detto a proposito dell’oro: “lo splendore dell'oro allude al simbolo del sole ma diventa anche simbolo di illuminazione interiore, di conoscenza intellettuale ed esperienza spirituale, concetto di divinità”. Allo stesso modo, la sfera, era un compendio di infiniti riferimenti cosmologici e religiosi, in cui lo spettatore è invitato a perdersi, come un monaco durante un esercizio di meditazione. Non è chiaro se lo stato quasi d’ipnosi di chi guarda o l’opera in sé fosse per Byars più vicina alla perfezione.

Perfezione, un’irraggiungibile chimera quest’ultima, che era così importante nell’universo di Byars che gli dedicò più di un pensiero nei suoi ultimi giorni di vita, o almeno così ha raccontato il critico statunitense Thomas McEvilley, a cui l’artista avrebbe urlato, spazientito, (sfiorando il minuscolo punto di saldatura tra le due metà di una sfera dorata su cui stava lavorando): "Tom, perché non possiamo fare niente perfetto!?" Del resto Byars non avrebbe smesso di lavorare fino all’ultimo, arrivando a rappresentare la propria morte durante la malattia.

Nel corso della sua vita, comunque, il momento di svolta della carriera, per lui, laureato in filosofia, era arrivato nel 1958 quando era partito per Kyoto (dove avrebbe vissuto qualche anno). Sia alcuni aspetti del teatro Noh che del rituale shintoista gli rimarranno in testa ed influenzeranno profondamente la sua opera. Che ad ogni modo avrà forme varie (userà molti medium diversi) e sarà consistente nonostante la prematura scomparsa dell’artista.

Dopo la permanenza in Giappone Byars condurrà un’esistenza errante, vivendo in varie città europee e statunitensi. Tra loro Venezia, che Byars amerà perché simbolo dei rapporti tra Oriente e Occidente oltre che per la sua bellezza a tratti sontuosa.

La mostra su James Lee Byars al Pirelli Hangar Bicocca di Milano si inaugurerà il 12 ottobre 2023. Una versione dello stesso progetto espositivo aprirà invece il 25 aprile 2024 al Palacio de Velázquez di Madrid.

James Lee Byars The Capital of the Golden Tower, 1991 Acciaio inossidabile dorato, legno dipinto 125 x 250 x 250 cm © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra  Foto Roman März

James Lee Byars The Diamond Floor, 1995 Cristalli di vetro 5 parti, ciascuna: 10 x 18 x 18 cm © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra

James Lee Byars The Tomb of James Lee Byars, 1986 Arenaria bernese ⌀100 cm Veduta dell’installazione, IVAM, Instituto Valenciano de Arte Moderno, 1995 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra

James Lee Byars, The Golden Tower, 1990 Acciaio dorato 2000 x 250 x 250 cm Veduta dell’installazione, Campo San Vio, Venezia, 2017 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra Foto Richard Ivey

James Lee Byars The Spinning Oracle of Delfi, 1986 Anfora dorata  195 x 195 x 320 cm © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra © The Estate of Lothar Schnepf

James Lee Byars The Moon Books, 1989 Marmo dorato in sedici parti, legno dorato 107 x 500 x 500 cm Veduta dell’installazione, Musée d’Art Moderne de Paris Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Torino, 1989 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra © The Estate of Lothar Schnepf

James Lee Byars The Door of Innocence, 1986 Marmo dorato 198 x 198 x 27 cm The Figure of Question is in the Room, 1986 Marmo dorato 162 x 27 x 27 cm Toyota Municipal Museum of Art, Aichi Veduta dell’installazione, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Torino, 1989 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra © The Estate of Lothar Schnepf

James Lee Byars The Chair of Transformation, 1989 Sedia del XVII secolo, tenda in seta rossa Sedia: 102 x 89 x 87 cm Tenda: 300 x 300 x 300 cm Veduta dell’installazione, Fundação de Serralves, Porto, 1997 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra © The Estate of Lothar Schnepf

James Lee Byars, The Golden Tower, 1990 Acciaio dorato 2000 x 250 x 250 cm Veduta dell’installazione, Martin Gropius-Bau, Berlino, 1990 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra Foto courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra

James Lee Byars The Unicorn Horn, 1984 Seta, corno di narvalo Corno: 20.5 x 237 cm Totale: 300 x 120 x 110 cm Veduta dell’installazione, James Lee Byars, The Palace of Perfect, Kewenig Gallery, Berlino, 2019 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra Foto Stefan Müller

James Lee Byars Ritratto, 1994 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra © The Estate of Lothar Schnepf

Le eleganti sculture riparate con il kintsugi da Yeesookyung

“Translated Vase” (2018), ceramic shards, epoxy, and 24K gold leaf, 102 × 77 × 77 centimeters. All images by Yang Ian, courtesy of Massimo De Carlo

La Corea del Sud non è solo suspence e cine-crudeltà alla Squid Game. Anzi. Artisticamente molto vivace, spesso si dimostra capace di rileggere la realtà e le sue stesse tradizioni in una chiave innovativa. Ne è un esempio la serie “Translated Vase” di Yeesookyung (ne ho già parlato qui), già inclusa nella Biennale di Venezia, che rimette, letteralmente, insieme i cocci delle porcellane orientali per ricavare delle forme inaspettate. Raffinate e sottilmente inquietanti. Blobbose e apparentemente poco equilibrate ma che alla fin fine stanno in piedi benissimo.

Delle sculture che sono un po’ dei Frankenstein di bell’aspetto, solo apparentemente fragili, saldate come sono con l’oro del kintsugi.

L’artista coreana Yeesookyung, infatti, gioca su questo paradosso, legando i frammenti di splendidi vasi del suo Paese natale con la tecnica giapponese del kintsugi che serve a riparare ed evidenziare la bellezza delle ferite.

Ogni scultura è come un complicatissimo puzzle tridimensionale. Le tessere non combaciano mai perfettamente ma poco importa, è compito dell’artista inventarsi delle nuove corrispondenze e appianare gli stridori dei punti inconciliabili, con resina epossidica e foglia d’oro a 24 carati. Per ironia della sorte dopo questo trattamento quelli che prima erano delicati manufatti diventano resistentissimi. Tanto che Yeesookyung ne ha parlato come di una sorta di autoritratto.

“Sono attratta dalle cose fallite, rotte o effimere- ha dichiarato in un’intervista- Gli oggetti che si sono spezzati mi danno la possibilità di intervenire. Non si tratta di riparare o curare, ma di celebrare la vulnerabilità dell'oggetto e in definitiva me stessa”.

Nella serie “Translated Vase”, Yeesookyung, cita il perfezionismo dei ceramisti coreani che hanno l’abitudine di gettare tutti i pezzi che hanno un minimo difetto. E ironizza su questo vizio usando il kintsugi. In coreano infatti sia per la parola crepa (un difetto) che per la parola oro (un materiale nobile) si usa il termine Geum.

“Per me- ha dichiarato- un pezzo di ceramica rotta trova un altro pezzo, e si affidano l'uno all'altro. L'uso dell'oro nelle fessure tra di loro è legato alla lingua coreana”.

Le sculture riparate con il kintsugi da Yeesookyung nella serie “Translated Vase”, compaiono, nelle loro centinaia di varianti, sia sul sito internet dell’artista che sul suo account instagram.

“Translated vase” (2020), ceramic shards, epoxy, and 24K gold leaf, 70 × 54 × 55 centimeters. All images by Yang Ian, courtesy of Massimo De Carlo

“Translated Vase” (2018), ceramic shards, epoxy, and 24K gold leaf, 102 × 77 × 77 centimeters

“Translated vase” (2020), ceramic shards, epoxy, and 24K gold leaf, 22 × 22 × 20 centimeters

Yee Sookyung ha punteggiato con torri di pietre ricoperte d’oro la zona demilitarizzata coreana

Installation view. You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Labor Party Office; Rocks, 24K gold leaf, urethane paint Courtesy of the artist Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

Installation view. You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Labor Party Office; Rocks, 24K gold leaf, urethane paint Courtesy of the artist Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

L’artista sudcoreana Yee Sookyung è conosciuta soprattutto per la serie ‘Translated vase’, che ha presentato anche alla Biennale di Venezia di quest’anno. ma la sua opera è in realtà molto variegata. Si va dalla pittura all’illustrazione alla scultura fino alla performace. Che li accomuna tutti è una sottile ironia e il richiamo alle tradizioni coreane, con una particolare predilezione per quelle artistiche in ambito religioso.
E’ il caso delle installazioni ‘You were there: DMZ Project 2017’ che Yee Sookyung ha realizzato per la zona demilitarizzata coreana (la DMZ che separa il democratico sud dal regime di Kim Jong-un).

Le sculture che punteggiano in pianta stabile un’area relativamente sicura del confine, sono fatte di rocce prelevate in zone di conflitto. O meglio. a volte sono semplici rocce posate per terra, altre solo piccole torri di sassi. Una forma minimale che contrasta con la ricchezza della foglia d’oro 24 carati di cui ognuna è stata ricoperta. Yee Sookyung per rivestirle ha usato un’antica tecnica coreana che serve a dorare in modo perfetto le statue di Buddha.

Le opere (installate lo scorso anno prima della fragile distensione portata dalle Olimpiadi) risaltano nel grigiore del paesaggio circostante con la ricchezza del loro colore e messi come sono, i sassi, sembrano ironizzare sul precario equilibrio della zona di confine.

La zona demilitarizzata che divide la Penisola Coreana in due parti, a dispetto del nome è la frontiera più armata del mondo. Intorno, però, per via dell’abbandono dell’uomo, si è creato un parco naturale ‘involontario’ . Tanto che l’area è oggi riconosciuta come uno degli habitat della zona temperata meglio preservati al mondo

Per avere altre informazioni sull’opera di Yee Sookyung si può consultare il suo sito internet.

Installation view. You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Peace and Culture Square; Courtesy of the artist Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

Installation view. You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Peace and Culture Square; Courtesy of the artist Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

 Detail. You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Peace and Culture Square; Courtesy of the artist Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

 Detail. You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Peace and Culture Square; Courtesy of the artist Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Peace and Culture Square; Rocks, 24K gold leaf, urethane paint Courtesy of the artist Supported by Cheorwon-gun, Korea Curated by Samuso Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Peace and Culture Square; Rocks, 24K gold leaf, urethane paint Courtesy of the artist Supported by Cheorwon-gun, Korea Curated by Samuso Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

Detail. You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Labor Party Office; Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

Detail. You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Labor Party Office; Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung