Biennale di Venezia| “Super Superior Civilizations” il Padiglione Svizzera colorato, barocco e sovversivo di Guerreiro do Divino Amor

Installation view of Super Superior Civilizations by Guerreiro do Divino Amor at the Pavilion of Switzerland at the Biennale Arte 2024. Photo by Samuele Cherubini.

Coloratissimo, barocco, ironico e sovversivo il Padiglione SvizzeraSuper Superior Civilizations” dell’elvetico-brasiliano, Guerreiro do Divino Amor, per la Biennale di Venezia 2024, rappresenta una copia di capitoli nel grande progetto a cui l’artista si dedica da 20 anni ("Superfictional World Atlas") e che prevede di destrutturare in maniera sistematica gli stereotipi che modellano (e deformano) le identità nazionali. In laguna è stata la volta della Svizzera e dell’Italia (attraverso la sua capitale). Ma anche dell’Occidente in generale, che do Divino Amor critica, irridendo i simboli della superiorità morale, politica e intellettuale di Roma.

Singolare documentarista- ha detto il curatore italiano del padiglione, Andrea Bellini- dall’immaginazione barocca e straordinario creatore di mondi, Guerreiro do Divino Amor ci invita a ridere con spirito benevolo del nostro sciovinismo e di quei cliché con i quali rappresentiamo il mondo e noi stessi. Atteggiamento quest’ultimo che ci sembra di fondamentale importanza in un periodo di crescente polarizzazione della politica e di contrapposizioni radicali come quello che stiamo vivendo.”

Nato a Ginevra nell’83 da uno storico del protestantesimo di origine Svizzera e da una brasiliana, Guerreiro do Divino Amor, è cresciuto un po’ a Ginevra, un po’ in Francia, un po’ in Belgio, un po’ in Brasile e adesso abita a Rio de Janeiro. E’ laureato in architettura sperimentale mentre come artista è autodidatta. Il suo progetto "Superfictional World Atlas" è un atlante composto prevalentemente da film (ma non solo) delle ''super fictions” cioè quelle sovra- narrazioni, spesso basate su luoghi comuni, approssimazioni e persino invenzioni, che i Paesi usano per raccontare sé stessi agli altri ma anche per autodefinirsi (ad esempio: la Svizzera è una nazione in cui la giustizia viene prima di tutto o l’Italia ha un primato culturale che le viene dall’antica Roma). Naturalmente, l’artista, oltre a documentare queste storie autocelebrative, le indebolisce con la forza dell’ironia. Per farlo guarda spot e materiale pubblicitario destinato al mercato turistico ma si stabilisce anche nel Paese di cui ha intenzione di occuparsi (prima di mettersi al lavoro sulla pagina italiana di “Super Superior Civilizations” è rimasto nella capitale per cinque mesi).

Il Padiglione Svizzera è composto da “Il Miracolo di Helvetia”, un video panoramico proiettato sul soffitto (per l’occasione tramutato in cupola), che i visitatori possono ammirare stendendosi su delle lunghe sedute, e da “Roma Talismano”, senza contare la moltitudine di sculture e installazioni che rendono le sale pullulanti di riferimenti all’estetica delle telenovelas, della tv spazzatura, del carnevale e dei videogiochi. Ne “Il Miracolo di Helvetia” un pantheon di figure femminili si riunisce a sostegno di una nazione del doppio volto (da una parte patria della democrazia e dell’equità, dalla moralità superiore, dall’altra cieca e sorda di fronte alle ingiustizie che comprometterebbero la propria economia), In “Roma Talismano”, invece, un ologramma a grandezza naturale, interpretato dalla diva transessuale brasiliana Ventura Profana, intona una canzone molto orecchiabile (scritta dall’artista), che racconta dei simboli della città eterna (la lupa, l’agnello e l’aquila) e di come, attraverso i secoli, hanno plasmato l’immagine di superiorità occidentale.

Il padiglione svizzero, “Super Superior Civilizations” di Guerreiro do Divino Amor (curato da Andrea Bellini) per la 60esima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di VeneziaStranieri Ovunque- Foreigners Everywere” è stato commissionato dalla Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia e si potrà visitare fino al 24 novembre 2024. Va visto, prima di tutto, perché mette a nudo in modo molto piacevole stereotipi in cui tutti noi siamo talmente immersi da finire per confondere acriticamente con la verità. Ma anche perché, durante la Biennale della decolonizzazione, dà anche all’Italia responsabilità nel processo della colonizzazione, cosa di cui il Paese sembra sinceramente e completamente inconsapevole.

Installation view of Super Superior Civilizations by Guerreiro do Divino Amor at the Pavilion of Switzerland at the Biennale Arte 2024. Photo by Samuele Cherubini.

Installation view of Super Superior Civilizations by Guerreiro do Divino Amor at the Pavilion of Switzerland at the Biennale Arte 2024. Photo by Samuele Cherubini.

Installation view of Super Superior Civilizations by Guerreiro do Divino Amor at the Pavilion of Switzerland at the Biennale Arte 2024. Photo by Samuele Cherubini.

Installation view of Super Superior Civilizations by Guerreiro do Divino Amor at the Pavilion of Switzerland at the Biennale Arte 2024. Photo by Samuele Cherubini.

Installation view of Super Superior Civilizations by Guerreiro do Divino Amor at the Pavilion of Switzerland at the Biennale Arte 2024. Photo by Samuele Cherubini.

Installation view of Super Superior Civilizations by Guerreiro do Divino Amor at the Pavilion of Switzerland at the Biennale Arte 2024. Photo by Samuele Cherubini.

Guerreiro do Divino Amor and Andrea Bellini, Artist and Curator of the exhibition at the Swiss Pavilion at the 60th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia Photo: © Samuele Cherubini 

Biennale di Venezia| "Repeat After Me" il sorprendente Padiglione Polonia di Open Group

Repeat after Me II, installation view, Polish Pavilion, Biennale Arte 2024, photo by Jacopo Salvi / Zacheta archive

Il Padiglione Polacco con la mostra “Repeat After Me II” del collettivo ucraino Open Group è una delle sorprese della Biennale d’Arte di Venezia 2024. Un progetto fresco e coinvolgente a cui il pubblico è chiamato a contribuire ma che funziona anche se le persone non fossero dell’umore per farlo. Open Group, infatti, ha scelto di parlare di guerra, di armi letali e dei loro effetti sui sopravvissuti attraverso il… karaoke.

Fondato nel 2012 a Leopoli da sei membri, il collettivo Open Group, oggi ne conta tre soltanto (Pavlo Kovach, Yuriy Biley e Anton Varga) tutti nati verso a fine degli anni ’80 (rispettivamente nel: ’87, ’88 e ’89) e interessati a spingere le persone a partecipare attraverso opere simili a “situazioni aperte”. Anche “Repeat After Me II”, nasce da questo presupposto, visto che è a tutti gli effetti costruita come un karaoke. Composto da due video, delle sedute e dei microfoni, è un padiglione semplice, dove l’oscurità ricorda una sala cinematografica, mentre la luce rossa che illumina gli amplificatori richiama alla mente i locali notturni dell’Europa centrale (da noi no, ma in Germania, ad esempio, le discoteche e i pub ne fanno largo uso).

I video (sostanzialmente identici, non fosse per il mutare dei volti ripresi) sono stati creati nel 2022 e nel 2024 e hanno per protagonisti dei veri rifugiati ucraini. Il primo è stato girato in un campo di reinserimento (situato nei pressi di Leopoli) nel Paese dell’Est Europa, mentre il secondo in Occidente (Stati Uniti e Europa occidentale).

La giustapposizione di queste opere del 2022 e del 2024 - hanno scritto gli organizzatori- mostra la drastica continuità della memoria, così come i cambiamenti nella tecnologia bellica”.

Il girato, infatti, parte dal nome di un’arma o comunque di un elemento sonoro cha caratterizza la guerra (ad esempio, l’allarme anti-aereo), riprodotto insieme a una stringata descrizione in bianco su schermo nero. Poi compare uno dei rifugiati (in primo piano frontale) che cerca di imitarne con la voce il rumore e, infine, invita il pubblico a ripeterlo insieme a lui.

Dopo i testimoni il pubblico può ripetere i suoni delle armi, imparando così la lingua delle loro esperienze, o tornando nello spazio sicuro progettato per assomigliare a un bar karaoke. Eppure questo non è un bar qualunque è un sito di istruzioni karaoke per un futuro militare che minaccia tutti noi”.

Tuttavia, dato che i suoni della guerra contemporanea non hanno niente a che vedere con la voce umana, i rifugiati emettono dei buffi vocalizzi, con espressione per lo più rilassata (come se stessero spiegando con partecipazione e leggerezza qualcosa a un bambino). Il risultato è un apparente misto di quotidianità e umorismo, capace di strappare un sorriso o persino una risata al pubblico. Finchè quest’ultimo non si accorge di essere diventato parte di una realtà capovolta che è quella dei conflitti armati.

Poche settimane prima dell’invasione russa dell’Ucraina, il Centro per le comunicazioni strategiche e le informazioni sulla sicurezza del Ministero della Cultura e della Politica dell’Informazione iniziò a distribuire opuscoli intitolati ‘In Caso di Emergenza o Guerra’, che spiegavano come comportarsi in una zona di guerra. Le istruzioni variavano a seconda che l'attacco in questione fosse un fuoco di fucile automatico, un bombardamento di artiglieria, un lanciarazzi o un raid aereo. La capacità di raccontare questi diversi scenari può salvarti la vita”.

Repeat after me” il Padiglione Polonia del collettivo ucraino Open Group, curato dal critico polacco Marta Czyÿ, si potrà visitare per tutta la durata della 60esima Esposizione Internazionale d’Arte (“Stranieri Ovunque- Foreigners Everywere”, fino al 24 novembre 2024) ai Giardini della Biennale di Venezia.

Open Group — Yuriy Biley, Pavlo Kovach, Anton Varga, Repeat after Me, 2022, video, © Open Group

Repeat after Me II, installation view, Polish Pavilion, Biennale Arte 2024, photo by Jacopo Salvi / Zacheta archive

Open Group — Yuriy Biley, Pavlo Kovach, Anton Varga, Repeat after Me, 2024, video, © Open Group

Repeat after Me II, installation view, Polish Pavilion, Biennale Arte 2024, photo by Jacopo Salvi / Zacheta archive

Repeat after Me II, installation view, Polish Pavilion, Biennale Arte 2024, photo by Jacopo Salvi / Zacheta archive

Open Group — Yuriy Biley, Pavlo Kovach, Anton Varga, Repeat after Me, 2022, video, © Open Group

Marta Czyż and Оpen Group — Yuriy Biley, Pavlo Kovach, Anton Varga, 2024, photo by Piotr Czyż/Zacheta archive

La meditazione, il pesiero, le rocce e il '68 di Lee Ufan all' Hamburger Bahnhof di Berlino

Lee Ufan, Portrait © Lee Ufan. Courtesy of Studio Lee Ufan / Jacopo La Forgia

A volte, Lee Ufan, espone semplici rocce, magari accoppiate con lastre di metallo, altre crea dei dipinti astratti composti da quelle che sembrano poche pennellate ma che sono in reltà il risultato di settimane di lavoro. La sua arte è un mix di meditazione e pensiero, semplicità e complessità, Oriente e Occidente, che ha fatto la storia dell’arte. Fino a fine mese, sessant’anni di carriera di questo grande maestro della contemporaneità, saranno all’ Hamburger Bahnhof di Berlino.

Nato in Corea, vissuto in Giappone e in Francia, con una mente forgiata dalla filosofia, dalla letteratura e dall’arte, a 88 anni Lee Ufan, è un testimone prezioso dell’evoluzione del pensiero degli ultimi sessant’anni, ma soprattutto un artista acuto che con il suo lavoro ha contribuito a trovare una sintesi tra Oriente, Occidente e contemporaneità. E’ considerato talmente importante che la sua opera è celebrata in ben tre musei dedicati solo a lui, disposti in ognuno dei Paesi in cui si svolge la sua biografia, pensati come un lascito per i posteri (la Fondazione Lee Ufan di Arles che ha sede in un palazzo seicentesco su cui è intervenuto il famoso architetto Tadao Ando; il Lee Ufan Museum di Naoshima un’isola e una città del Giappone note per i musei e le installazioni d’arte contemporanea; lo Space Lee Ufan a Busan una metropoli sud coreana).

D’altra parte Lee Ufan è stato tra i teorizzatori e gli artisti più rappresentativi del Mono-Ha in Giappone (letteralmente "La scuola delle cose"), un movimento simile al Minimalismo americano e forse ancora di più all’Arte Povera italiana (concentrato però particolarmente sul rapporto che intercorre tra oggetto, spazio e spettatore nel lasso di tempo in cui vengono in contatto) e Mono-ha è considerata la corrente più importante nella storia dell’arte giapponese recente (siamo tra gli anni ’60 e i ’70). Viene da sé quindi che già per questo Ufan abbia un posto nei libri di Storia ma lui è stato anche membro del Dansaekhwa in Corea (generalmente tradotto come “Pittura monocromatica coreana”, stesso periodo) altro movimento-colonna dell’arte asiatica del dopo-guerra.

In questi mesi il museo d’arte contemporanea Hamburger Bahnhof di Berlino gli rende omaggio con una grande retrospettiva. La prima in Germania a lui dedicata. Si chiama semplicemente “Lee Ufan” e, oltre a ripercorrere la lunga carriera dell’artista asiatico attraverso sessanta opere tra sculture, dipinti e installazioni, lo pone in dialogo con Rembrandt.

Ausstellungsansicht „Lee Ufan“, Hamburger Bahnhof – Nationalgalerie der Gegenwart, 27.10.2023 – 28.4.2024 © Lee Ufan. Courtesy of Studio Lee Ufan / VG Bild-Kunst, Bonn 2023 / Jacopo La Forgia

Soprattutto durante il periodo Mono-ha, Ufan, espone rocce, cotone, lastre di metallo, specchi. In alcuni casi fa di più: ad esempio, lasciando cadere una roccia su uno specchio che si frantuma di fronte al pubblico (come una forma di disegno automatico) inserendo la forza di gravità nell’opera, oppure abbandonando tre grandi fogli di carta su una piazza in balia del vento (qui la natura diventa co-autrice del lavoro). L’idea era quella di svuotare le opere dalla presenza dell’artista e far si che l’incontro tra l’oggetto, lo spettatore e il luogo in cui era posizionata l’opera, facessero la magia. In un’intervista ha spiegato: “Come in Francia, dove nel maggio 1968 si verificò una rivoluzione sociale, il Giappone all’epoca stava attraversando una trasformazione sociale. Il modernismo basato sull’idea dell’ego è andato in frantumi. Era ora di cercare una conversazione con l'esterno o con l’altro (…)”. Insomma, parola d’ordine: l’artista e i suoi sentimenti devono sparire. Sempre per questo, Ufan e gli altri del movimento Mono-ha, prediligevano sculture “non fatte”, oggetti prelevati tali e quali dal mondo intorno a loro. Un po’ come Michelangelo Pistoletto, quando cercava di fare entrare il mondo nei suoi “Quadri Specchianti, o comunque altri esponenti dell’Arte Povera da noi. C’è da dire, che, al di là del clima sessantottino, il fatto che il concetto di umiltà sia parte integrante della cultura giapponese, deve aver contribuito non poco allo svilupparsi di questa corrente di pensiero.

Ausstellungsansicht „Lee Ufan“, Hamburger Bahnhof – Nationalgalerie der Gegenwart, 27.10.2023 – 28.4.2024 © Lee Ufan. Courtesy of Studio Lee Ufan / VG Bild-Kunst, Bonn 2023 / Jacopo La Forgi 

Anni dopo, Ufan le sue rocce, accostante a semplici forme di metallo (come un arco) messe lì più che altro per enfatizzare le prime (affermando così il prevalere dell’opera della natura su quella dell’uomo), le avrebbe esposte alla Reggia di Versailles.

Lo scorso anno durante la presentazione delle tazzine Illy da lui disegnate, ha detto: “Sono nato in campagna, circondato da una natura selvaggia che mi ha insegnato molto. Ma sono anche figlio della grande città, una lavagna su cui apprendere infinite lezioni. Più ci pensavo, più prendevo coscienza di una verità che non mi ha mai lasciato: non si può prescindere dalla natura e l’universo”.

Lee Ufan, „From Line“, 1977, Kleber und Mineralpigment auf Leinwand, The National Museum of Modern Art, Tokyo © Lee Ufan / VG Bild-Kunst, Bonn 2023. Foto: Shu Nakagawa

Se le sue rocce sono molto conosciute, forse i dipinti lo sono ancora di più. Per farli concentra tutta sua la sua energia sul pennello che poi applica sulla tela per alcuni minuti, ripete il gesto più volte, sospende per qualche giorno e infine ricomincia. Alla fine quelle che sembrano semplici pennellate sono il risultato perfetto di un lungo processo e della sovrapposizione di più strati di vernice. In passato, con un metodo simile tracciava delle linee parallele che via via che il colore si esauriva, evaporavano nel fondo crema della tela. Usa grandi pennelli quadrati e a volte mischia polvere minerale al colore. Ci mette molto tempo a completare un lavoro, così ogni anno sono pochi i dipinti che escono dal suo studio.

Oltre che un’artista, Ufan durante la sua carriera, è stato un filosofo, un saggista, un critico e un insegnante. Ai suoi studenti diceva sempre di guardare le mani mentre modellavano l’argilla o stringevano la matita. Come fossero altro da loro. Ma anche di controllare le loro reazioni all’ambiente in cui si trovavano.

La mostra di Lee Ufan all’ Hamburger Bahnhof si concluderà il 28 aprile 2014. Per l’occasione "Autoritratto con berretto di velluto" del pittore olandese è stato esposto in una sala del museo d’arte contemporanea (insieme alla scultura dell’artista orientale: "Relatum – La stretta strada del cielo"), mentre al centro della sala Rembrandt della Gemäldegalerie della capitale tedesca c’è un intervento di Ufan.

Ausstellungsansicht „Lee Ufan“, Hamburger Bahnhof – Nationalgalerie der Gegenwart,27.10.2023 – 28.4.2024 © Lee Ufan. Courtesy of Studio Lee Ufan / VG Bild-Kunst, Bonn 2023 / Jacopo La Forgia

Ausstellungsansicht „Lee Ufan“, Hamburger Bahnhof – Nationalgalerie der Gegenwart, 27.10.2023 – 28.4.2024 © Lee Ufan. Courtesy of Studio Lee Ufan / VG Bild-Kunst, Bonn 2023 / Jacopo La Forgia

Ausstellungsansicht „Lee Ufan“, Hamburger Bahnhof – Nationalgalerie der Gegenwart, 27.10.2023 – 28.4.2024 © Lee Ufan. Courtesy of Studio Lee Ufan / VG Bild-Kunst, Bonn 2023 / Jacopo La Forgia

Ausstellungsansicht „Lee Ufan“, Hamburger Bahnhof – Nationalgalerie der Gegenwart, 27.10.2023 – 28.4.2024 © Lee Ufan. Courtesy of Studio Lee Ufan / VG Bild-Kunst, Bonn 2023 / Jacopo La Forgia

Ausstellungsansicht „Lee Ufan“, Hamburger Bahnhof – Nationalgalerie der Gegenwart, 27.10.2023 – 28.4.2024 © Lee Ufan. Courtesy of Studio Lee Ufan / VG Bild-Kunst, Bonn 2023 / Jacopo La Forgia

Ausstellungsansicht „Lee Ufan“, Gemäldegalerie, 27.10.2023 – 28.4.2024 © Lee Ufan. Courtesy of Studio Lee Ufan / VG Bild-Kunst, Bonn 2023 / Jacopo La Forgia