Il Getty ha digitalizzato il Codice Fiorentino, il manoscritto che custodisce tutti i segreti della Mesoamerica indigena

Tehuih, libro 11 foglio 17r artista: Tlahculloh

Completato nel 1577 dal frate francescano spagnolo Bernardino de Sahagún, “Historia universal de las cosas de Nueva España”, comunemente detto “Codice Fiorentino”, è una vera e propria enciclopedia miniata degli usi, le credenze e la vita quotidiana, dell’Impero atzeco del XVI secolo. Gli anni cioè della conquista spagnola ma anche quelli in cui permangono gli usi della cultura che la precedono. Un concentrato di sapere indigeno (di cui esistono scarse testimonianze dirette), composto da 12 volumi e quasi 2500 illustrazioni, redatto in spagnolo ma anche in nahuati, cui il missionario aveva lavorato collaborando con scrittori, artisti e anziani Nahua.

Attualmente conservato alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, il manoscritto è stato digitalizzato già da alcuni anni dalla biblioteca italiana stessa in collaborazione con la Library of Congress degli Stati Uniti e, da allora, è entrato far parte del sapere reso fruibile al mondo dalla World Digital Library (in cui convergono i tesori di 160 tra biblioteche, musei e archivi con sede in 75 paesi diversi). Tuttavia, proprio per la quantità di preziosi capolavori resi impalpabili nella collezione della World Digital Library, la consultazione dell’archivio non è sempre un processo immediato. Stesso discorso si può fare a proposito del tentativo di rendere disponibile a tutti il “Codice Fiorentino” da parte dell’Unesco.

Il Getty Research Institute, invece, ha recentemente pubblicato una versione digitalizzata del prezioso manoscritto davvero user friendly. Con una piattaforma dedicata solo a lui divisa per argomenti, che permette di consultare le antiche pagine del “Codice Fiorentino” bilingue, ma anche le sole immagini. Libro per libro, o, più semplicemente, tema per tema (ad esempio: il Messico della quotidianità può essere visionato attraverso le professioni più diffuse all’epoca, o l’uso di mangiare il cacao, peperoncini e altri alimenti). C’è anche una sezione dedicata agli animali, in cui compaiono i cani (in genere piccoli cagnolini a pelo raso dal musetto poco pronunciato e la testa tonda, simili agli odierni chihuahua), i cavalli e le farfalle ma anche strani pesci col becco o ali di farfalla.

Sotto ogni immagine, ci sono poi delle didascalie che spiegano cosa si sta osservando. E, nonostante il sito del Getty sia disponibile solo in inglese e spagnolo, i servizi di traduzione automatica ne rendono immediata la consultazione pure al pubblico italiano.

Si ritiene che il “Codice Fiorentino” sia arrivato nel capoluogo toscano già negli anni ’70 del XVI secolo, poco dopo essere stato ultimato. Bernardino de Sahagún, infatti, l’aveva inviato al viceré di Spagna ma il sovrano ne aveva disposto il sequestro e non glielo aveva più restituito, donandolo anzi al suo alleato Francesco I de’ Medici.

L’importanza di “Historia universal de las cosas de Nueva España”, benché nota da tempo, non ha contribuito a farne subito una stella. Tuttavia, di recente si è risvegliato un forte interesse intorno al manoscritto.

Originariamente- ha detto una delle ricercatrici a capo del progetto del Getty, Kim Richter- si pensava che il manoscritto fosse privo di valore estetico (...) Oggi lo consideriamo un'importante testimonianza di un periodo tumultuoso in Messico”.

Il “Codice Fiorentino” mixa elementi di rappresentazione europei e colori mesoamericani. Anzi, pare che gran parte del tempo, Bernardino de Sahagún e gli altri che lo scrissero e miniarono, lo abbiano occupato nel coltivare e raccogliere le materie prime necessarie alla sua stesura. Tra le ricette dei colori, tutte pubblicate nei volumi (per lo più in forma pittorica), resta impressa quella del rosso brillante, ottenuto da una pianta che rilasciava il suo colore solo dopo essere rimasta immersa in acqua per ben sette anni.

Processo di indurimento della colla, Libro 9, Folio 64v, Artista K.

Papalomichin e Ocelomichin, Libro 11, foglio 62v

Festa in onore di un neonato libro 4 foglio 69r artista: Tlahcuiloh

Mercanti trasportano merci ad Anahuac; libro 9 foglio 16v artista: Tlahcuiloh

In migliaia accettano la sfida del museo Getty e ricreano capolavori del passato con ciò che hanno in casa

immagini di @gettymuseum

immagini di @gettymuseum

Migliaia di persone in tutto il mondo hanno accettato la sfida lanciata dal museo Getty di ricreare opere d’arte classiche con ciò che si sono trovate tra le mani durante la quarantena. Vestiti vecchi, pigiami, scriugamani oppure cibo. E ne sono venuti fuori dei piccoli capolavori di creatività e autoironia che il museo ha pubblicato sulle proprie pagine social.

L’idea del Getty in realtà non è originale ma riproduce un’iniziativa del Rijksmuseum di Amsterdam. Che a sua volta si è ispirato al geniale account instagram Between Art and Quarantine. Entrambe esperienze coronate da successo. Insomma, il Getty quando ha lanciato la sua sfida aveva ragione di pensare che il pubblico non sarebbe rimasto freddo ma le risposte sono state talmente tante da stupire gli stessi organizzatori.

C’è’ chi si è buttato sulla china che conduce all’astrazione usando vestiti, biancheria da letto e tappeti per ricostruire Il Bacio di Gustav Klimt. Chi ha dato vita all’ Urlo di Edvard Munch su una fetta di pane tostato. E ancora chi ha arrualato il proprio cagnolino per interpretare la parte della Ragazza con l’orecchino di perla di Jan Vermeer. Ma la lista è lunga e i periodi storici variano da remote epoche del passato fino alla contemporaneità (su Between Art and Quarantine ci sono anche imitiazioni di opere di Jeff Koons e Marina Abramović). Tuttavia la maggior parte delle preferenze si sono concentrate sull’arco di tempo che dal Rinascimento porta fino all’Impressionismo e poco oltre.

Il Getty pubblica su Twitter e su Instagram le foto di questi nuovi capolavori in bilico tra la quotidinaità ferita della quarantena e l’arte di arrangiarsi. Ma non va dimenticato di sbirciare su Facebook cosa hanno fatto i fan del Rijksmuseum e naruralmente quelli di Tra Arte and Quarantena. Da spulciare anche l’hashtag #betweenartandquarantine. (via The Iris)

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L'archivio digitale del Getty Museum raddoppia. Disponibili 135mila immagini in hd da scaricare gratis

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Il programma Open Content dell’istituzione artistica statunitense J.Paul Getty Trust che fa capo all’omonimo J. Paul Getty Museum ha recentemente reso disponibili altre immagini in hd di capolavori della sua collezione. Per un totale di 135mila tra fotografie, dipinti e oggetti pregiati, che è possibile scaricare gratuitamente “senza restrizioni d’uso” (quindi anche a scopo commerciale).

Occasione che va colta al volo visto che J..Paul Getty e con lui il Getty Museum (se si considera un periodo della sua storia recente) non sembrano destinati a passere alla Storia per la loro generosità. E neppure per la loro onestà.

J. Paul Getty fu uno degli uomini più ricchi del mondo, un abile imprenditore e una persona senza scrupoli. Leggendaria la sua avarizia. Il suo lavoro e l’amore per l’arte lo legarono al nostro Paese, in un rapporto da cui il patrimonio italiano non uscì indenne. Chi lo ha seguito non fu da meno. La sontuosa collezione che raccolse, poi confluita e ulteriormente ampliata dal J. Paul Getty Museum, è stata al centro di più di un procedimento giudiziario. E’ ancora in corso la battaglia legale per il Lisippo ma quando, una decina di anni fa, si scatenò la bufera (la vicenda portò alla restituzione all’Italia di 40 reperti e ad un processo finito in prescrizione) su Repubblica il giornalista Vittorio Zucconi scrisse: “Se si guardano le cifre, il numero e la storia delle opere esposte o acquisite nella sezione della antichità, questo stupendo museo potrebbe subire, legalmente, la spoliazione alla quale illegalmente avrebbe contribuito, in Italia e nel resto del mondo.”.

La collezione di dipinti ricalca la passione del milionario statunitense per l’arte classica, neoclassica e rinascimentale. Ma la maggior parte della raccolta digitale è composta da fotografie (da non confondere con la società Getty images fondata da uno dei figli di J. Paul). Un patrimonio inestimabile, accumulato dopo la morte di J. Paul Getty acquisendo alcune importanti collezioni private. Non tutte le immagini di famose fotografie sono tuttavia disponibili ad accesso gratuito, ma la scelta resta comunque ampia, con 112,261 file da scaricare.

E poi ci sono sculture, gioielli, manoscritti, disegni, oggetti d’arte decorativa, mappe, stampe e tanto altro ancora. La caratteristica più interessante è che le immagini a dimensione massima sono davvero grandi (8557 X 6559 ). Scomodo invece il procedimento per il download (bisogna indicare in un menù a discesa la tipologia del richiedente e il motivo per cui si sta scaricando l’immagine). (via Open Culture)

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