Le 1100 puntine da disegno di Toshihiko Shibuya che spuntano come minuscoli funghi dal muschio di un ruscello

All photos courtesy Toshihiko Shibuya

All photos courtesy Toshihiko Shibuya

L’artista Toshihiko Shibuya ha recentemente completato “White Generation 2” una complessa e poetica installazione nel cuore di un incontaminato bosco giapponese. 

Minimale e fragile, la scultura di Toshihiko Shibuya è composta da 1100 puntine da disegno bianche a testa tonda, posizionate a mano. Tre metri in altezza per 25 di lunghezza, si dipana sul muschio dei rami caduti in un ruscello della foresta di Hobetsu, nella parte centro meridionale dell’isola di Hokkaido. 

L’opera è il seguito della monumentale installazione “White Generation”, realizzata dall’artista nella metropolitana di Sapporo. Ma se nel primo caso le puntine da disegno ricordavano cellule e muffe, calate nell’ambiente naturale fanno pensare a minuscoli funghi, bozzoli, lucciole. Come se il semplice fatto di inserirle in un bosco, assecondando le movenze frastagliate e sinuose del paesaggio, avesse fatto automaticamente avanzare l’orologio evolutivo.

E soprattutto, a differenza della prima scultura, “White Generation 2” fa lavoro di squadra con l’ambiente circostante (come nel caso della serie “Snow Pallet” di cui ho parlato qui e qui).

“Se pioverà forte, qualche pezzo vicino alla superficie dell’acqua sarà sommerso- spiega Toshihiko Shibuya- In questo caso la vista del ruscello trasmetterà la memoria di violenti temporali estivi. Credo che sia importante godersi lo spettacolo dell’acqua che si alza o si abbassa ed essere in grado di percepire i mutamenti del paesaggio giorno dopo giorno”.

Profondamente legato all’estetica giapponese il lavoro di Toshihiko Shibuya si iscrive nel solco della Land Art ed è caratterizzato da interventi minimali. “White Generation 2” evoca il cocciuto germinare ed espandersi della vita e ricorda lo scorrere ciclico del tempo. 

Ad inserire questo concetto in una dimensione più ampia di sicuro concorre il fatto che Hobetsu si trova in un’area nota per i reperti fossili e che a renderla famosa è stato il ritrovamento di uno scheletro di dinosauro particolarmente integro e ben conservato. 

L’installazione è stata realizzata nell’ambito della mostra a cielo aperto Ponpetsu Art Fort 2017 che inaugurerà sabato prossimo (fino al 20 agosto).

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Le casette per gli uccelli degli ottomani che sembrano palazzi riccamente ornati

diverse foto courtesy of Caner Cangül

diverse foto courtesy of Caner Cangül

Un elemento curioso e non molto conosciuto dell’architettura ottomana in Turchia è l’abitudine di inserire una casa per uccelli sulla facciata degli edifici simbolo delle città. Moschee, ponti, locande e biblioteche possedevano una loro casetta per i volatili. Sulle fontane poi erano inseriti anche dei minuscoli abbeveratoi.

Ma più che semplici ricoveri per piccioni, rondini o passeri sembrano palazzi in miniatura. Con più di un ingresso e ricchi decori ricalcano l’architettura delle residenze più importanti del paese. A volte si articolano su due piani.

Gli ottomani avevano preso ad inserire queste dimore per pennuti sugli edifici per preservarne le facciate dalla corrosione. Ma anche perché si riteneva che chi offre riparo agli uccellini sarebbe stato ripagato con eventi fortunati.

La presenza e la cura con cui queste casette erano realizzate ha contribuito a rafforzare l’amore per gli animali. Tutt’ora i turchi hanno una particolare predilezione per gli uccelli che sfamano e che durante le migrazioni rallegrano numerosi alcune delle loro città (l’autore del blog istambulperitaliani riferisce che ad Istambul si fermano spesso: cicogne, falchi, gru e aironi).

Negli anni queste casette sono state chiamate con nomi diversi, talvolta divertenti altre poetici, come “kus köskü” (padiglioni degli uccelli), güvercinlik” (colombaie) e “serçe saray” (palazzo passero).
La maggior parte di queste casette che caratterizzarono così tanto l’architettura ottomana è andata distrutta. Degli esempi tuttavia sono ancora presenti in tutte le città turche. La più antica risale al XVI secolo ed è parte del Büyükçekmece Bridge di Instambul. (via Colossal)

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photo collage by Colossal

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Borondo che con vetro, pittura e luce si è inventato la street-art che si muove e cambia aspetto

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Lo street-artist spagnolo Gonzalo Borondo non usa tecnologie o processi meccanici solo pittura e installazione ma riesce a far muovere le sue sculture. Gli bastano vetro e luce. Un po’ per il suo stile pittorico e un po’ perché usa lastre dipinte in sequenza ma il risultato fa pensare alla cronofotografia ottocentesca e agli esperimenti pionieristici d Eadweard Muybridge.

Con la luce artificiale in ambienti chiusi i fotogrammi scorrono piuttosto veloci come nei primi esperimenti dei precursori del cinema, mentre con quella naturale, all’aperto, le figure dipinte in sequenza sembrano spostarsi appena e non sempre, ma compensano quest’incertezza con la capacità di assorbire il paesaggio circostante e cambiare aspetto a seconda dell’ora del giorno.

Gonzalo Borondo ha lavorato parecchio in Italia. E’ dell’anno scorso a Roma, infatti, l’installazione ‘Ubiquitas’ in cui una donna dipinta su diverse lastre di vetro sembrava incedere come una modella in passerella, salvo poi moltiplicarsi e ballare.

Quest’anno a Catanzaro in occasione del festival di street-art “Altrove” ha realizzato “Aria” un’installazione monumentale composta da ben 185 vetri serigrafati (ognuna delle 73 figure che si sono formate accostandoli è stata poi completata a mano). L’opera, collocata all’aperto, nello storico e scenografico Complesso Monumentale di San Giovanni, gioca con il paesaggio e con la mutevolezza delle luci. La sequenza di lastre di vetro in questo caso, non è posta in linea retta, per meglio raggiungere l’obbiettivo.

Oltre a Gonzalo Borondo alla quarta edizione di “Altrove” hanno partecipato il francese 3ttman, l’argentino Jorge Pomar (Amor), gli italiani Ciredz e Andreco.

“Altrove” si è concluso ma resta possibile sostenere il festival comprando le creazioni dello street-artist sul loro shop. Oppure seguire Borondo sui suoi account Youtube e Facebook.

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Gonzalo Borondo, "Ubiquitas", Paradizo Inclinato (Ex Dogana, Roma), Photo: Fabiano Caputo

Gonzalo Borondo, "Ubiquitas", Paradizo Inclinato (Ex Dogana, Roma), Photo: Fabiano Caputo

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz