“L’Euforia del colore” di Carlos Cruz-Diez. A San Gimignano una grande mostra del pioniere della Op Art

Carlos Cruz-Diez, L'Euforia del Colore, vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA Copyright Line: © Carlos Cruz-Diez / Bridgeman Images 2023

Nato a Caracas il 17 agosto del 1923, il pioniere della Optical Art, Carlos Cruz- Diez, adesso starebbe per compiere 100 anni. Quel traguardo, purtroppo, non è riuscito a raggiungerlo. Mancato nel 2019, proprio mentre il regista venezuelano Alberto Arvelo si apprestava a completare il documentario su di lui “Free Color” (presentato lo stesso anno sia al Palm Springs Film Festival che al Miami International Film Festival), in cui l’artista riaffermava l’amore per la vita, la propria famiglia, la musica e l’ossessione per il colore. Oltre che per l’arte, naturalmente (campo in cui, secondo alcuni studiosi, è stato "uno dei più grandi innovatori del XX secolo”). Anche se, parlando di Cruz Diez, aggiungerlo è superfluo: visto che, per lui, l’arte era indivisibile dal colore.

Ma Galleria Continua (che adesso rappresenta il suo lavoro per conto della Fondazione Carlos Cruz Diez) non ha dimenticato il centenario dell’artista e gli ha dedicato una mostra approfondita, nella sede di San Gimignano (quella più grande, un ex-cinema-teatro con tanto di giardino privato, tra gli spazi a sua disposizione nel borgo simbolo della bellezza dei colli senesi). L’esposizione si intitola “L’euforia del colore” e ripercorre la carriera di Cruz-Diez attraverso tutte le sue serie di opere.

Ben otto (Couleur Additive, Physichromie, Induction Chromatique, Chromointerférence, Transchromie, Chromosaturation, Chromoscope e Couleur à l’Espace), che rappresentano altrettante linee di ricerca dell’artista sul colore e sulla reazione dell’occhio umano a determinati accostamenti cromatici. Ci sono i quadri (il più delle volte di grandi dimensioni) ma anche due opere ambientali fatte per essere, attraversate, vissute e persino manipolate (è il caso di “Environnement Chromointerférent”) o modificate dalla luce viva del sole, dal meteo, e dal paesaggio circostante (“L’Environnement de Transchromie Circulaire”). E un’installazione in Piazza delle Erbe, concepita dall’artista (che, nel tempo, ne ha progettate e realizzate parecchie, in scorci spesso prestigiosi), per alterare l’esperienza e la percezione dell’ambiente urbano.

Cruz-Diaz, infatti, credeva in un colore libero dalla forma e dal concetto, capace, da solo, di modificare lo spazio (sia quello della tela che quello della realtà), la percezione del tempo e perfino lo spettatore stesso.

A proposito ha affermato: “Il colore non è semplicemente il colore delle cose che ci circondano, né il colore delle forme. È una situazione evolutiva, una realtà che reagisce sull’essere umano con la stessa intensità del freddo, del caldo o del suono, per esempio. È una percezione di base che la nostra tradizione culturale ci impedisce di isolare dal colore artistico e dalla sua nozione esoterica o aneddotica.

Le sue cromie scintillanti, formate da colori primari accostati tra loro per produrre il fenomeno della sintesi additiva o sottrattiva, danno vita a toni inesistenti che lo spettatore scopre muovendosi e cambiando il punto di vista sull’opera. Oltre a sfarfallii e vibrazioni dell’immagine capaci di destabilizzarlo. Come se ogni singola creazione si moltiplicasse per il solo fatto d’essere guardata e l’esperienza della visione si facesse personale.

Cruz-Diez, che ha lavorato anche sul colore riflesso, d’altra parte, non lasciava nulla al caso, presentando dipinti, sculture o ambienti, studiati fin nel minimo dettaglio e, spesso, realizzati con una tecnica sorprendente (a volte dipingeva, altre accostava e giustapponeva fettucce colorate di materiali diversi, poste in orizzontale e verticale). Sapeva sempre quale sarebbe stato l’effetto sortito. Anche se, nei primi decenni della sua attività, dopo aver pensato un’opera, non poteva fare altro che aspettare di finirla per scoprire se la sua intuizione era azzeccata (gli schizzi non rendevano l’idea, e se il risultato non era all’altezza la rifaceva da capo). Poi in studio avrebbe preso il suo posto il computer e tutto sarebbe stato più semplice.

Perché i supporti che sono riuscito a strutturare sono fonte di sorpresa e sono imponderabili... Nelle mie opere nulla è lasciato al caso; tutto è previsto, pianificato e programmato (…) Io non mi lascio ispirare rifletto

Figlio di Mariana Adelaida Diez de Cruz e Eduardo Cruz-Lander, Carlos Eduardo Cruz-Diez, ha descritto il padre come un poeta intellettuale che per guadagnarsi da vivere lavorava in una fabbrica di bibite. Ed è qui che il piccolo Carlos ebbe la sua prima chiamata al colore: aveva 9 anni quando le proiezioni rosse sulla sua camicia bianca, causate dalla luce del sole che filtrava attraverso le bottiglie di cola, lo lasciarono senza parole.

L’origine di una carriera, il germe di un’epifania creativa che, tuttavia si svilupperà solo anni dopo, a Parigi, città in cui l’artista si trasferisce nel 1960. Nel mezzo, Cruz Diez, farà di tutto: pittore realista, disegnerà fumetti, sarà un illustratore di successo per riviste e agenzie pubblicitarie, e, una volta in Francia, oltre a fare l’artista, progetterà cataloghi per la sua galleria dell’epoca. Dirà in un’intervista rilasciata alla rivista Bomb: “Ho disegnato cataloghi anche per molte altre gallerie. Quando Sonnabend ha aperto a Parigi, ho disegnato cataloghi per Rauschenberg e Jim Dine, oltre a poster per Lichtenstein. È così che ho conosciuto tutte quelle persone”.

Tuttavia, il successo arriverà in fretta e con esso la necessità di fare altro si esaurirà. Già nel ’61, infatti, ritroviamo Cruz-Diez tra gli artisti scelti dallo Stedelijk Museum di Amsterdam per la prima importante ricognizione sull’arte ottica; mentre nel ’65 il Moma di New York, lo inserirà nell’esposizione su Op Art, Arte Cinetica e Programmatica, “The Responsive Eye”, ora considerata simbolo di quel periodo storico. Senza contare che, pochi anni dopo (nel 1970), rappresenterà il Venezuela alla 35esima Biennale di Venezia.

Oggi a Caracas c’è un museo che porta il suo nome (Museo de la Estampa y del Diseño Carlos Cruz Diez ) e le sue opere sono conservate in alcune delle più prestigiose collezioni pubbliche e private dal mondo. Tra loro quella del MoMA di New York, della Tate Modern di Londra, del Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris e del Centre Pompidou di Parigi.

Ha detto in più occasioni di aver sperimentato una vera e propria “euforia creativa”, una volta arrivato a Parigi. Emozione, frutto del fiorire contemporaneo di movimenti in competizione tra loro come Arte Povera, Pop Art e Fluxus o Op Art e Arte Cinetica . Sempre a Bomb ha inoltre spiegato: “Quello che ho trovato qui [a Parigi ndr] è stato eccezionale. Non ho altra spiegazione se non coincidenze generazionali. Perché mi sono venute in mente idee a Caracas nello stesso momento in cui le avevano anche artisti in Brasile, Argentina, Israele, Inghilterra e Italia? Ci è capitato di coincidere tutti qui a Parigi”.

La mostra di Carlos Cruz-Diez “L’euforia del Colore”, il cui titolo è un riferimento alle parole dell’artista e all’oggetto della sua opera, proseguirà fino al 10 settembre 2023, nella sede di San Gimignano di Galleria Continua.

Carlos Cruz-Diez, L'Euforia del Colore, vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA Copyright Line: © Carlos Cruz-Diez / Bridgeman Images 2023

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Carlos Cruz-Diez, L'Euforia del Colore, vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA Copyright Line: © Carlos Cruz-Diez / Bridgeman Images 2023

Tra genuinità e artificio le intricate foreste e i romantici giardini in cartone ondulato di Eva Jospin

Eva Jospin, Vedute; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Con una passione inesauribile per le minute curiosità della Storia e per la ricchezza di spunti offerti dal tema del paesaggio, l’artista francese Eva Jospin, lavora sulla linea di confine che separa la natura dalla cultura, la genuinità dall’artificio, l’emozione dal mito, il passato dal presente, l’arte dalla scenografia.

Non a caso, le sue opere più famose, sono delle laboriosissime sculture in cartone ondulato, spesso realizzate su larga scala, che rappresentano intricate ed impenetrabili foreste, grotte, oppure rovine. Della presenza di persone o animali non c’è traccia, in modo che le composizioni di Jospin possano meglio risuonare di riferimenti e suggestioni e che, lo spettatore, le attivi attraversandole. Effimero primo attore di una commedia antica quanto l’Uomo, in cui la natura si fa di volta in volta complice o nemica e l’abitare, riflesso di una società complessa, può cedere il passo all’apparire.

Figlia dell’ex-primo ministro francese Lionel (in carica durante la presidenza Chirac, a lungo tra i massimi esponenti del Partito Socialista d’oltralpe), Eva Jospin, è nata a Parigi nel ’75, dove ha studiato (all’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts) e dove, adesso, vive e lavora. Nel suo atelier, in cui processi industriali e artigianali convivono e operano diverse persone, si parla anche italiano. Del resto, l’artista, che dopo essere stata premiata dall’Académie des Beaux-Arts è stata ospite a Villa Medici (Roma), e conosce tutti (o quasi) i giardini d’Italia, parla a sua volta un perfetto italiano (comprensibilmente visto che ha sposato un milanese).

In genere, nella sua pratica, usa scultura, disegno e ricamo. La sua opera ha un’impronta raffinata e, come si è detto, volutamente scenografica che le ha permesso delle importanti incursioni nel mondo della moda (per Dior ha creato una serie di pannelli ricamati nella sfilata d’alta moda del ’21, poi l’ambientazione monumentale di quella di prêt-à-porter di ques’anno; mentre all’interno del negozio Max Mara di Milano c’è una sua installazione permanente). Ha esposto al Palais de Tokyo di Parigi al Musée de Giverny, al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, ma anche nel cortile Cour Carrée del Louvre.

Si è anche aggiudicata la prestigiosa Carte Blanche 2023 della Maison Ruinart (il più antico produttore di champagne del mondo, attualmente di proprietà della holding del lusso LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton SA).

Per Carte Blanche, come di consueto, le è stato chiesto di reinterpretare il territorio di Reims (nella Marna) dove ha sede l’azienda e, naturalmente, il prodotto. Jospin ha tratto ispirazione dalle radici delle viti e dalle cave di gesso in cui le bottiglie vengono lasciate invecchiare, per poi inserire nelle opere anche qualche riferimento ai dettagli della facciata monumentale della Cattedrale di Reims. Ne sono nati lavori, eleganti ed onirici, in cui gli elementi evocati dall’artista, riassemblati in una realtà parallela (ma non per questo meno credibile), emergono cesellati ed aerei. Che Ruinart, tra le altre cose, ha portato e porterà in giro per oltre 30 fiere d’arte nel mondo.

Ultimamente Jospin è anche entrata a far parte della scuderia di Galleria Continua, che le ha dedicato una mostra (attualmente in corso) nella sua sede di San Gimignano sui colli senesi. L’esposizione, intitolata “Vedute”, è piccola ma completa (ci sono sculture in cartone ondulato, disegni e ricami), ed è composta da pezzi importanti anche se non grandissimi.

D’altra parte, Jospin, non sempre sceglie di lasciare lo spettatore libero di confrontarsi con sculture a grandezza naturale. Spesso gli dà l’impressione di osservare paesaggi in lontananza o semplici rappresentazioni. Le famose sculture in cartone ondulato sono quelle in cui l’artista parigina si attiene più strettamente a un linguaggio figurativo. Del materiale (di cui pare tutti le chiedano fino a far scattare in lei un rifiuto) ha ricordato: “All’inizio è stato un caso, perché avevo appena cambiato atelier e avevo voglia di produrre opere molto più grandi. Ho riflettuto sulla produzione e ho visto le scatole del trasloco in un angolo dell’atelier. Da lì ho creato la mia prima foresta di cartone”. Anche se, in sostanza, le è piaciuto perché: economico, leggero, facile da lavorare e riutilizzare. Meno agevole il processo di lavorazione scelto da Jospin, in cui l’artista sovrappone strati su strati di sagome (spesso diverse solo nelle dimensioni), che perfeziona a suon di lime e taglierini, salvo poi interviene di nuovo sulla composizione aggiungendo moltitudini di particolari.

Uno dei soggetti ricorrenti di questa serie di opere è il bosco. Misterioso ed oscuro. In cui lo spettatore è chiamato a confrontarsi con le sue paure. Sono le sculture più psicanalitiche di Jospin, che, in genere, al massimo si spinge a ricucire insieme elementi di paesaggio esistente, creando luoghi fantastici ma meno intimi. Mentre, uno dei riferimenti storici prediletti dell’artista, è quello delle folies (in italiano capricci). Nate tra la fine del’500 e l’inizio del ‘600, le folies, hanno il loro maggior sviluppo nei due secoli seguenti e sono edifici privi, o quasi, di uno scopo pratico, in genere costruiti nei giardini, al fine di creare un’ambientazione e raccontare una storia. Nell’opera di Jospin questo riferimento storico fa si che il confine tra rappresentazione del vero e rappresentazione della rappresentazione si incrini e si fonda con la fantasia, in un intricato gioco di specchi, che cattura lo spettatore. Un trionfo del fraintendimento ma anche un modo per esprimere l’incredibile complessità del reale.

Jospin si dedica poi a complessi ricami colorati, che prendono spunto dagli antichi arazzi ma anche dalla pittura dei Nabis e di Édouard Vuillard. A disegni a china, che sono un fiorire cadenzato di segni. Ma pure a sculture che evocano le stratificazioni della roccia, rese modellando cemento e gesso (qui vuole evocare l’architettura degli uomini della pietra o semplicemente la materia erosa dagli elementi). In tutte queste opere comunque, l’artista, abbandona la figurazione per strizzare l’occhio all’astrattismo.

Eva Jospin sarà in mostra nello spazio espositivo di Galleria Continua di Arco dei Becci a San Gimignano (Siena) fino al 10 settembre 2023. Ma anche al Palais des Papes di Avignone, questa volta con un’installazione monumentale (“Palazzo”) che rimarrà visitabile fino al 7 gennaio 2024.

Eva Jospin, PAST PROJECTS CHRISTIAN DIOR Photo: @ADRIEN DIRAND

Eva Jospin, Vedute; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Eva Jospin, Vedute; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Eva Jospin, Vedute; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Eva Jospin, Vedute; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Eva Jospin, Vedute; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Eva Jospin, ATELIER RUINART 2023 Photo: @ LAURE VASCONI

Eva Jospin, ATELIER RUINART 2023 Photo: @ LAURE VASCONI

I quadri specchianti, “autoritratti del mondo”, in mostra a San Gimignano per celebrare i 90 anni di Michelangelo Pistoletto

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Emblema di certezza, presenza, identità, o al contrario di inquietudine, assenza, perdita e perfino orrore, lo specchio è una presenza quotidiana e un simbolo narrativo potente. In libri e film lo ritroviamo sempre in bilico tra verità e inganno. Non nell’arte di Michelangelo Pistoletto però, dove lo specchio, inteso non più in senso psicologico, ma principalmente filosofico e sociale, perde gran parte delle sue ambiguità, abbracciando i visitatori ma soprattutto lo spazio e il tempo. Riuscendo persino nell’impresa di contenere l’infinito

Michelangelo Pistoletto, sull’uso di supporti specchianti per una lunga serie di autoritratti e ritratti, che dall’inizio degli anni ’60 ci conduce fino ai giorni nostri, ha gettato le basi di tutta la sua poetica. Un racconto lungo sei decadi, che quest’anno si intreccia con il 90esimo compleanno dell’artista (nato nel luglio del’33 a Novara), e che gli è valso molti tributi. Tra questi una mostra nella sede di San Gimignano, sulle colline senesi, di Galleria Continua, dedicata proprio a “I Quadri Specchianti”.

La storia di questi ultimi, comincia nella seconda metà degli anni ’50, quando Michelangelo Olivero, che ancora aiutava il padre pittore (Ettore Olivero Pistoletto), nella bottega di restauro di famiglia, cerca di rivisitare il tema dell’autoritratto. Sperimenta varie tecniche. Dipinge se stesso in maniera sempre più anonima su fondo uniforme. Finchè nel ’61, dopo aver steso sulla tela un fondo nero e uno spesso strato di vernice si accorge di potervisi specchiare. Una vera epifania. Pistoletto nel corso di quell’anno si ritrarrà frontalmente, di schiena, seduto e in piedi, mentre il fondo catturerà avidamente tutta la vita dietro l’opera d’arte. Questi lavori verranno raggruppati nella serie intitolata semplicemente: “Presente”.

In questa prima fase, l’artista, oltre a rivisitare in maniera sempre più radicale il tema dell’autoritratto, si sofferma soprattutto sulla differenza che passa tra l’immagine immutabile della rappresentazione pittorica e quella in costante trasformazione della realtà. In altre parole la griglia rigorosa della prospettiva rinascimentale va in frantumi e il presente si appropria del quadro in tutta la sua imprevedibile concretezza.

Al di là del movimento dell’Arte Povera, di cui Pistoletto sarebbe diventato un esponente di spicco, l’uso di superfici riflettenti o di veri e propri specchi al posto della tela, tradisce la tensione tra i mezzi a disposizione dell’artista per catturare il presente e un cambiamento epocale dei costumi che di lì a poco avrebbe contribuito alle rivolte studentesche.

Ad ogni modo, Pistoletto non abbandonerà mai i quadri specchianti, rappresentandovi, di volta in volta, oggetti inanimati, gruppi di persone, animali. Nel corso del tempo, utilizzerà anche varie tecniche e materiali per realizzarli: acrilico, smalto plastico, oro, argento, carta velina dipinta su acciaio inox lucidato, fino alla serigrafia su acciaio inox super mirror. Metterà in successione gli specchi e li romperà anche:

La rottura dello specchio ha molte interpretazioni- ha detto intervistato da Marie-Laure Bernadac- La prima è dell'ordine della superstizione: l'idea che lo specchio rotto porti alla sfortuna è una paura sempre molto persistente, perché lo specchio è considerato dotato di potere magico. Quindi, rompendo lo specchio, rompo anche la superstizione. La seconda riguarda la realtà fisica dello specchio, rompo la sua consistenza materiale, ma allo stesso tempo moltiplico le immagini immateriali che accoglie. I frammenti sono tutti diversi, ma conservano tutti la riflessività dello specchio originale.”

Ma soprattutto la riflessione di Pistoletto sui quadri specchianti si farà serrata e sarà determinate per quello che verrà dopo (l’infinito e il terzo paradiso in cui la società civile attraverso l’arte costruisce una comunità nuova ed utopica). Perché nello specchio, secondo l’artista, coesistono presente, passato e futuro. L’esterno (all’opera d’arte) e l’interno si invertono. Non esiste più la distinzione tra opera e spettatore; ciò che quest’ultimo vede davanti a se lo vede anche dietro di se, ritrovandosi al centro di una doppia prospettiva. Il caso, l’incidente, il futile ma anche momenti tanto effimeri quanto importati, il naturale e l’artificiale, entrano tutti nell’opera spontaneamente, in modo totalmente democratico.

Infatti, dei quadri specchianti l’artista ha detto: “sono un autoritratto del mondo”.

Senza contare che, come molti hanno fatto notare, i quadri specchianti anticipano i selfies e l’arte instagrammabile, che avrebbe preso possesso dei musei nei giorni nostri.

Con tre lauree honoris causa (attribuitigli da vari atenei), un Premio Imperiale del Giappone e un Leone d’oro alla carriera della Biennale di Venezia, Michelangelo Pistoletto, è uno degli artisti italiani più rappresentativi a livello internazionale. Le sue opere sono conservate in tante importanti collezioni, in Italia e nel mondo. Tra le altre, quelle: del Musée du Louvre di Parigi, del Museo Reina Sofia di Madrid, del Centre Georges Pompidou di Parigi, della Tate Modern di Londra, del MoMa e del Guggenheim di New York.

In occasione dei suoi 90 anni (per altro portati benissimo) sia Palazzo Reale di Milano (“Michelangelo Pistoletto. La Pace Preventiva”) che il Chiostro del Bramante di Roma (“Michelangelo Pistoletto. Infinity. L’arte contemporanea senza limiti”, in corso, fino al 15 ottobre 2023) gli hanno dedicato una mostra.

Galleria Continua, che lo rappresenta, ha fatto di più e si è inventata un progetto intercontinentale “teso a mettere in luce l’arte di Pistoletto in ogni sua declinazione, dalla genesi a oggi”, che si articola tra le varie sedi della galleria in giro per il mondo. Così, se il 27 maggio la sede di San Gimignano della galleria ha inaugurato “I Quadri Specchianti”, proprio mentre quella di Cuba metteva in scena “Amar las diferencias”, e pochi giorni dopo apriva a Les Moulins (Francia) “60 ans d’identités et d’altérités”, devono ancora cominciare: “Color and Light” (dal 22 giugno al Saint Regis di Roma), “Segno Arte” (dal 23 giugno nella sede di Parigi), “Il Caso” (a San Paolo del Brasile dal 28 ottobre), “Il tempo del giudizio” (dal 18 novembre nella sede di Dubai negli Emirati Arabi) e “QR code possession” (dal 15 novembre a Beijing in Cina).

I quadri specchianti in mostra a San Gimignano sono numerosi e tratteggiano l’intero percorso dell’artista, dagli anni ’50 ad oggi, alcuni sono davvero emblematici, e si concludono con “Qr Code Possession – Autoritratto”. Un’opera del 2022, in cui l’artista appare con la fronte, le braccia e il petto, ricoperti di tatuaggi, ognuno dei quali rappresenta un codice a barre con all’interno un piccolo simbolo del Terzo Paradiso. I codici, una volta scansionati, portano l’utente a una serie di materiali e video online (ci sono conferenze, testi e performances). Chiaramente qui l’artista utilizza la tecnologia per veicolare il proprio messaggio ma anche per meglio definire la propria identità ed il proprio ruolo pubblico, con una punta di autoironia (rara nel suo lavoro). Riferendosi all’opera ha detto: il tatuaggio è “(…) un antico metodo di comunicazione che utilizzo oggi come mezzo di comunicazione artistico-tecnologico. L’autoritratto trasmette la mia identità ma anche quella della società contemporanea all’interno del quadro dell’infinito che può essere trovato in un Quadro specchiante”.

La mostra “I Quadri Specchianti” di Michelangelo Pistoletto resterà nella sede di San Gimignano di Galleria Continua fino al 10 settembre 2023. Le altre esposizioni, organizzate per festeggiare i 90 anni dell’artista di Novara in giro per il mondo, si protrarranno, a staffetta, per circa tutto l’anno.

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

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