Gli sfavillanti e monumentali arazzi a tema marinaresco di El Anatsui ancora per poco alla Turbine Hall della Tate Modern

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Joe Humphrys)

A 81 anni l’artista ghanese El Anatsui ha trasformato la Turbine Hall della Tate Modern di Londra in un vascello, parlato della rotta degli schiavi, di passato, di futuro, oltre che di tratte commerciali e preoccupazioni ambientali del presente, attraverso un’arte ineffabile e concreta, monumentale ed apparentemente fragile, dove l’astrattismo e la scultura convivono. Africa e Occidente ritrovano un equilibrio, dialogando in modo franco, attraverso migliaia di tappi di liquore usati e cuciti insieme fino a diventare arazzi bellissimi e preziosi.

Behind the Red Moon”, commissione finanziata da Hyundai inaugurata a novembre dello scorso anno e visitabile ancora per un mese circa, infatti, è la straordinaria successione di tre enormi arazzi (“The Red Moon”, “The World”, e “The Wall”) fatti per progredire nella narrazione e fondersi, carichi di valenze simboliche ma astratti, con cui El Anatsui si è confrontato con la Turbine Hall.

Questo spazio colossale- ha scritto nella sua recensione della mostra il critico d’arte britannico Jonathan Jones su The Guardian- ha sempre avuto la capacità di essere una cattedrale moderna, ma pochi artisti incaricati di lavorare qui hanno osato trattarlo in modo così romantico ed estatico. El Anatsui lo fa. I suoi tendaggi mistici traslucidi danno finalmente a questo vuoto grigio le vetrate colorate di cui ha bisogno (…)”.

Le sculture installate a Londra sono realizzate con la tecnica che ha reso famoso l’artista e che lui aveva ideato venticinque anni fa passeggiando per Nsukka in Nigeria, dopo aver impresso i segni Adinkra (che esprimono concetti astratti e proverbi) su vassoi tradizionali, aver lavorato con legno, ceramica e incisione. Poi El Anatsui ha avuto, appunto, l’intuizione di usare i tappi d’alluminio che raccoglie nelle stazioni di riciclaggio locali, accartoccia, piega, buca e cuce utilizzando filo di rame. Nel tempo, ha incorporato etichette, sovrapposto più strati, reso più elaborata, animata e ricca la tessitura. Adesso impiega quasi 100 persone per riuscire a portarli a termine, tra il suo studio in Ghana (dov’è recentemente tornato a vivere) e quello più grande in Nigeria.

Nato nel 44 ad Anyako, era il più giovane di 32 fratelli, il padre faceva il pescatore ma finita la stagione si dedicava alla tessitura, mentre la madre sapeva tagliare e cucire abiti da donna. Lui, tuttavia, è cresciuto con lo zio e i cugini, dopo aver perso la madre quando era ancora piccolo. Ha studiato al College of Art dell’Università di Scienza e Tecnologia di Kumasi, ma si è presto trasferito in Nigeria per insegnare alla University of Nigeria. Non si è mai stabilito in Europa o negli Stati Uniti, anche se ha esposto nei musei di tutto il mondo e nel 2015 è stato premiato con il Leone d’oro alla carriera dalla Biennale di Venezia (a cui aveva già più volte partecipato).

Questo però, ha probabilmente rallentato la sua completa affermazione. In una recente intervista ha detto: “(…) Ad esempio, avevo solo tre mesi meno di 80 anni quando sono stato invitato a prendere parte alla Turbine Hall. E ci sono artisti sui 30, 40, 50 anni – europei o occidentali – che lo hanno fatto molto, molto, molto prima di me. E non è che io non stessi lavorando (…)”. Nonostante ciò, El Anatsui, è stato uno dei primi artisti africani ad imporsi sul mercato fino a sfondare il tetto del milione. Oggi anche le sue opere più piccole valgono centinaia di migliaia di euro.

Al momento della nascita dell’artista, in Ghana, si trovava solo zucchero Tate & Lyle. Questo ricordo, unito alla consapevolezza che il commercio triangolare transatlantico di schiavi e prodotti delle piantagioni (come lo zucchero, appunto) ha creato la ricchezza di Henry Tate (a cui il museo inglese deve parte della sua collezione e la sua stessa fondazione), è servito a El Anatsui come base per progettare la commissione alla Turbine Hall. Anzi, all’inizio voleva usare il grande spazio espositivo per piantare direttamente canne da zucchero (non se ne è fatto niente, perché un altro prima di lui aveva installato qualcosa di simile), poi aveva deciso di ricostruire con castello di schiavi (in Ghana ce ne sono molti, uno è vicino a casa dell’artista) ma la sede della mostra era inadatta. Alla fine, El Anatsui, ha dato vita a “Behind the Red Moon”, che conduce i visitatori, partendo da una vela gonfiata dal vento al cui interno si può notare una luna rossa (luna di sangue), fino ad una composizione eterea, apparentemente di figure danzanti, che ricorda vagamente le sculture di Calder e che, guardata da un determinato punto di vista, si tramuta in un globo (qui l’artista usa l’anamorfosi), per poi far naufragare il loro sguardo su un monumentale muro nero, alla cui base si agitano volumi simili alle onde del mare o alle montagne. Dietro quest’ultimo arazzo si scopre una struttura lieve, quasi una rete da pesca, ricoperta di luccicanti elementi multicolore.

Il tema marinaresco, scelto dall’artista per questo progetto, tra le altre cose, ben si adatta al fatto che le sue opere si possano trasportare così facilmente e al fatalismo di cui lui ha sempre dato prova (è famoso per inviare gli arazzi senza nessun tipo di indicazione su come installarli).

Behind the Red Moon” di El Anatsui rimarrà alla Turbine Hall della Tate Modern di Londra fino al prossimo 14 aprile. Dopo questa data bisognerà attendere l’8 ottobre 2024 quando sarà il turno della giovane coreana Mire Lee realizzare la prossima commissione Hyundai nel museo britannico.

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Lucy Green

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Lucy Green

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Lucy Green

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Joe Humphrys)

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Joe Humphrys)

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Joe Humphrys)

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Lucy Green

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Lucy Green

El Anatsui di fronte a una delle sue sculture alla  Turbine Hall

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Lucy Green

Alla scoperta dell'arte contemporanea in Namibia all’Art Forum Würth di Capena

Art ForumWürth Capena, NAMIBIA, immagine dell'installazione. Foto: Livia Granati

Dalla settimana scorsa e per un anno, giorno più giorno meno, l’Art Forum Würth di Capena (Roma) ospita la mostra Namibia. Arte di una giovane generazione. Che, con le sue 80 opere di 33 artisti che vivono e lavorano nello Stato dell'Africa sud-occidentale, è pensata per delinare il panorama dell’arte contemporanea nel paese. Si tratta anche, con ogni probabilità, della più grande esposizione mai tenutasi in Italia sull’argomento.

La Namibia è una delle nazioni più giovani del continente africano. Nata nel '90, quando ottenne l'indipendenza dal Sudafrica, con cui confina, prende il nome dal deserto del Namib, che in lingua Nama significa “luogo vasto”, ma affaccia anche sull'Oceano. E' grande. Davvero grande (quasi 3 volte l'Italia) e poco popolata. La maggior parte dei giovani si concentra nella capitale Windhoek e nella città di Swakopmund sulla costa occidentale. Viene da se che siano anche i principali centri dell’arte contemporanea nel paese.

Perchè in Namibia ci sono parecchi artisti e c’è anche un neonato mercato dell’arte che conta tra i suoi estimatori il miliardario, nonchè storico collezionista, tedesco Reinhold Würth.

"Sono ormai decenni che visito la Namibia- ha scritto- assieme alla mia famiglia, non solo per le sue tradizioni, ma soprattutto per la sua ricchezza faunistica e floreale (...) Ovviamente in questa lingua di terra l‘arte figurativa esiste da quando vi si sono insediati i primi abitanti: pensiamo solo ai dipinti rupestri della Dama Bianca (...) Personalmente ho seguito lo sviluppo dell’arte contemporanea in Namibia visitando svariate volte la Galleria Nazionale di arte moderna di Windhoek e ritengo che sia giunto il momento di promuovere la conoscenza dei giovani artisti namibiani non solo in Germania, ma in tutta Europa."

Per farlo, per lo meno in Italia, il magnate, che da alcuni anni ha aperto un vasto spazio espositivo nell’ambito del polo logistico del suo gruppo a Capena (nella città metropolitana di Roma), espone una nutrita selezione di artisti namibiani. Scelti dalla direttrice della Collezione Würth di Künzelsau, C. Sylvia Weber e dall'ex direttore della Galleria Nazionale d’Arte della Namibia, Hercules Viljoen. Questi ultimi, insieme a Ulrich Sacker (ex-direttore del Goethe Institut a Windhoek) firmano anche il catalogo. Perchè, come recita un proverbio africano che accompagna i testi critici: “Fino a quando i leoni non avranno i propri storici, i racconti di caccia glorificheranno sempre il cacciatore”.

Sono state sclte opere di: Elago Akwaake, Lukas Amakali, Petrus Amuthenu, Barbara Böhlke, Margaret Courtney-Clarke, Linda Esbach, Gisela Farrel, Elvis Garoeb, Beate Hamalwa, Martha Haufiku, Ilovu Homateni, Saima Iita, John Kalunda, Lok Kandjengo, Filemon Kapolo, Isabel Katjavivi, Paul Kiddo, David Linus, Nicky Marais, Othilia Mungoba, Alpheus Mvula, Peter Mwahalukange, Frans Nambinga, François de Necker, Saara Nekomba, Urte R. Remmert, Fillipus Sheehama, Findano Shikonda, Papa Ndasuunje Shikongeni, Ismael Shivute, Elia Shiwoohamba, Tity Kalala Tshilumba, Salinde Willem.

Alcuni hanno già rappresentato la Namibia alla Biennale di Venezia, altri invece non sono mai usciti dal paese. Molti, se non tutti, fanno parte della collezione di Reinhold Würth.

D’altra parte il viaggio dall’Europa alla Namibia (e viceversa ) mantiene sfumature avventurose come racconta, Sylvia Weber, nella sua prefazione alla mostra: "Già l’arrivo all’aereoporto di Windhoek di prima mattina, nel novembre del 2015, è impressionante. Da ormai 20 minuti il velivolo della Air Namibia sta volando a pochi metri da terra e si vedono gli animali che per il rumore dell‘aereo scappano correndo.(…)"

E per gli artisti, spostarsi dalla Namibia con mezzi propri, può essere impossibile: "Alla maggioranza degli artisti- scrive Hercules Viljoen- l’economia culturale namibiana non consente di vivere della loro attività creativa, benché alcuni di loro vi riescano abbinandovi attività complementari, ad es. l’insegnamento o il design commerciale. Il riconoscimento economico proviene prevalentemente da un ceto medio benestante, sempre più consapevole del valore dell’investimento in arte di qualità. Purtroppo una larga fetta della società namibiana ignora il ruolo dell’arte nell’arricchimento dell’anima e dell’ambiente circostante”.

Tra gli artisti qualcuno è nato poco prima della proclamazione dell’indipendenza altri invece erano già attivi in precedenza e hanno vissuto sotto l'occupazione sudafricana e l’apartheid. Le forme espressive sono varie: disegno, pittura, fotografia. Certe più tradizionali come il quilting, (l’arte della trapunta), o più attuali come il riciclo . Poi ci sono sculture in pietra, ferro e legno, incisioni su linoleum e su cartone.

A queste ultime la mostra dedica particolare interesse. Ed è ancora una volta l’ex direttore della Galleria Nazionale d’Arte della Namibia a spiegarci il perchè: "E' importante conoscere il background che ha caratterizzato lo sviluppo dell’arte in Namibia e la sua realtà odierna. Prima dell’indipendenza, John Muafangejo (1943–1987) è stato il primo e unico namibiano indigeno, riconosciuto a livello internazionale, grazie alle sue audaci incisioni su linoleum."

I temi che attraversano l’esposizione sono: il paesaggio namibiano, la spiritualità , la vita rurale oltre alle questioni di attualità politica e sociale.
Namibia. Arte di una giovane generazione. rimarrà all’ Art Forum Würth di Capena fino al 14 ottobre 2023.

Art ForumWürth Capena, NAMIBIA, immagine dell'installazione. Foto: Livia Granati

Art ForumWürth Capena, NAMIBIA, immagine dell'installazione. Foto: Livia Granati

Art ForumWürth Capena, NAMIBIA, immagine dell'installazione. Foto: Livia Granati

Lukas Amakali (Windhoek, 1976) Colto in azione / Caught in action, 2015 Fotografia / photography, 60,5 x 40 cm Coll. Würth

Art ForumWürth Capena, NAMIBIA, immagine dell'installazione. Foto: Livia Granati

Art ForumWürth Capena, NAMIBIA, immagine dell'installazione. Foto: Livia Granati

Art ForumWürth Capena, NAMIBIA, immagine dell'installazione. Foto: Livia Granati

Art ForumWürth Capena, NAMIBIA, immagine dell'installazione. Foto: Livia Granati