In anteprima "The Life of Hokusai" di Katsumi Sakakura che racconta la vita del pittore giapponese mixando danza e arti marziali

Ci saranno a disposizione solo due date (il 30 giugno e il 1 luglio), che per giunta sono un anteprima europea, per vedere “The Life of Hokusai”. Uno spettacolo dal ritmo sincopato, che racconterà la vita dell’iconico pittore giapponese, con lo stile fresco e adrenalinico del famoso performer Katsumi Sakakura.

The Life of Hokusai”, nasce dalla collaborazione di Sakakura con il produttore Shin Sugimoto. Anche se non si può negare che il regista, Kento Shimizu e il character designer, Takashi Okazaki (popolare per il samurai hip-hop di “Afro Samurai” e per aver lavorato al film d'animazione “Ninja Batman” della DC Comics), abbiano fatto la loro parte.

D’altra parte, “The Life of Hokusai” non è un normale spettacolo di prosa. Tanto per cominciare, alterna la recitazione con brani strumentali e danza (l’impianto può ricordare quello del teatro kabuki). Soprattutto danza, risolta con lo stile peculiare di Sakakura, che fa grande uso delle arti marziali tradizionali nipponiche mixate tra loro e incrociate con passi presi dal balletto vero e proprio. Il risultato, apparentemente impetuoso e scenografico, è visivamente appagante per lo spettatore e molto impegnativo per i performers.

Inoltre, lo spettacolo prevede la proiezione di video a cui i ballerini si sincronizzano, fino a dare l’impressione di modificare le immagini con i loro movimenti (mandare in frantumi un oggetto inesistente con una mossa di karate, per esempio, o dipingere senza pennello sullo schermo alle loro spalle).

Katsumi Sakakura, inoltre, è anche un designer di riconosciuto talento e crea da solo i costumi per le proprie esibizioni. E c’è da immaginare che lavorare su Hokusai l’abbia di certo ispirato.

Vissuto tra ‘700 e ‘800, Katsushika Hokusai, è stato un pittore ed incisore giapponese conosciuto soprattutto per le sue opere in stile ukiyo-e (immagini del mondo fluttuante). Universalmente noto il suo capolavoro: "Una grande onda al largo di Kanagawa". La sua biografia è ricca di spunti originali e intriganti ma a interessare particolarmente Sakakura è il fatto che si considerasse un ponte tra energie celesti e terrene. Oltre naturalmente all’aspetto umano, qui interpretato come un oscura forza propulsiva del talento dell’artista.

"Magia e colori si abbattono sul palco- spiegano gli organizzzatori- con l’impeto de La grande onda di Kanagawa, il capolavoro assoluto di Hokusai, immergendo gli spettatori in un viaggio tra le valli, le montagne, i fiumi e la maestosità della natura che hanno così profondamente ispirato la sua arte, nonché tra i demoni e le ombre che l’hanno resa per lui l’impresa alla quale devolversi con vorace maniacalità fino alla morte."

Creato nel 2020, “The Life of Hokusai”, è stato messo in scena in ritardo per la pandemia ma è già oggetto di un documentario (il regista è sempre Kneto Shimizu), attualmente in streaming su Amazone Prime Japan, Usa e Uk. E’ stato realizzato per celebrare il duecentosessantesimo anniversario della nascita di Hokusai.

A Bologna, lo spettacolo “The Life of Hokusai” di Katsumi Sakakura, si terrà al Teatro Arena del Sole il 30 giugno e il primo luglio (con quattro repliche). Saranno le uniche due date italiane. Oltre a rappresentare, come già accennato, la prima volta in Europa dell’opera.

Meredith Monk parlerà del suo lavoro e dell'amico Bruce Nauman all'Hangar Bicocca. Prima però sarà in concerto alla Triennale

Dopo l’attesissimo concerto-anteprima alla Triennale di Milano, Meredith Monk, sarà al Pirelli Hangar Bicocca per parlare della sua amicizia con Bruce Nauman (ancora al centro del prestigioso spazio espositivo con la mostra “Neons Corridors Rooms”), di quanto l’arte dell’uno abbia preso da quella dell’altra e viceversa, ma anche della retrospettiva "Meredith Monk. Calling" che il prossimo autunno vedrà il suo lavoro sessantennale protagonista dell’ Haus der Kunst di Monaco di Baviera.

Converserà con Andrea Lissoni (il direttore italiano del famoso museo d’arte contemporanea tedesco che ospiterà la sua mostra), e l’evento sarà ad ingresso gratuito.

Si tratta di un appuntamento importante perchè Meredith Monk è una figura cardine della performance art. Pluripremiata, insignita da numerosi riconoscimenti tra cui la National Medal of Arts (che le conferì Barack Obama) e l'investitura a Chevalier de l'Ordre des Arts et des Lettres della Repubblica Francese.

Nata nel ‘42 a New York City, Meredith Jane Monk è compositrice, cantante, regista, coreografa e filmmaker. La sua musica è stata utilizzata nel film "Il grande Lebowski" dei fratelli Coen, in "Nouvelle Vague" e "Notre musique" di Jean-Luc Godard. Figlia d’arte, la madre, infatti, era cantante professionista e i nonni materni musicisti. Monk, è stata una pioniera di quella che oggi viene chiamata "tecnica vocale estesa"  (che prevede l’utilizzo di particolari tecniche timbriche e armoniche per ampliare la tavolozza dei suoni) e "performance interdisciplinare". In sostanza, ha esplorato con la voce territori fino ad allora inesplorati e nel contempo l’ha mixata con il movimento del corpo. Le sue performance, sono spesso concepite o adattate in funzione dello spazio in cui si esibisce, rendendo effimera e ancora più carica poeticamente la sua virtuosa arte.

Il sito internet della statunitense, in proposito dice: "Crea opere che prosperano all'intersezione di musica e movimento, immagine e oggetto, luce e suono, scoprendo e intrecciando nuove modalità di percezione. La sua innovativa esplorazione della voce come strumento, come linguaggio eloquente in sé e per sé, espande i confini della composizione musicale, creando paesaggi sonori che portano alla luce sentimenti, energie e ricordi per i quali non ci sono parole”. Lei invece ha spesso dichiarato che intende “la musica così visivamente”.

Per il Teatro della Triennale si esibirà, in compagnia di due tra le sue collaboratrici più fidate, in una scelta di brani che abbracciano cinquant’anni della sua produzione, da “Songs from the Hill” (1975-1976) e “The Games” (1984) fino ai più recenti “Mercy” (2001) e “Cellular Songs” (2018). Lo spettacolo, che si intitola semplicemente "Meredith Monk in concerto con Katie Gissinger e Allison Sniffin", si terrà sabato 18 febbraio alle 19 e 30. I biglietti sono in vendita sul sito della Triennale.

Il giorno successivo invece (domenica19 alle 21) Meredith Monk sarà in conversazione al Pirelli Hangar Bicocca con Andrea Lissoni. Al centro dell’intervento dal vivo dell’artista americana la natura multidisciplinare del suo lavoro e di quello di Bruce Nauman. L’appuntamento è gratuito ma visto il numero limitato di posti è richiesta la prenotazione. Per farlo si dovrà andare sul sito del museo da venerdì 10 febbraio.

Oliver Beer che fa cantare vasi, pentole ed edifici

Oliver Beer, Rights / Unattained Goals (installation view), 2020, installation, sound, speakers, vessels, mixed media, plinths. Commissioned by the 2nd Riga International Biennial of Contemporary Art, RIBOCA2. Photo by Hedi Jaansoo. Courtesy of the Riga International Biennial of Contemporary Art.

Nell’opera Household Gods (Aspazija), l’artista inglese Oliver Beer, ha raccolto diversi oggetti riconducibili alla scrittrice lettone Aspazija (moglie del più celebre poeta Rainis fu tra le prime femministe della Lettonia), li ha messi su un piedistallo, microfonati uno per uno e ha amplificato la loro voce. Usandola poi per comporre melodie.

E’ un lavoro molto simile ad altri del trentasettenne Oliver Beer. L’artista, infatti, si è convinto presto che dentro ogni oggetto inanimato si nasconda un suono che merita di essere reso udibile ed ascoltato. E talvolta, ma solo talvolta, una nota perfetta. Come è successo al Metropolitan Art Museum di New York nel 2019 quando con Vessel Orchestra ne ha trovate 32. Ognuna stava all’interno di un reperto in collezione al museo ma per scovarle tutte ha dovuto esaminare un gran numero di oggetti. Anzi ascoltarli come si farebbe con i cantanti ad un provino.

"Per questo pezzo, ho ascoltato centinaia e centinaia di oggetti- ha detto ai tempi alla rivista Newyorker- Ci sono pochissimi oggetti che cantano nella sala occidentale. C'era un Brancusi, la "musa dormiente", che avrei incluso. Ma cantava forte”.

Alla fine Beer si decise per un gruppo di voci più multietnico e il cantante più anziano fu un vaso libanese del VII secolo avanti Cristo. I suoni emessi da ciascuno erano collegati a una tastiera e l’artista o chi per lui li usava per suonare, esattamente come si farebbe con le note generate da un pianoforte.

Come in Household Gods (Aspazija) soltanto che in questo caso gli oggetti scelti invece di avere a che fare con la Storia rappresentavano l’intimità. A testimonianza di questo il nome della serie di cui il lavoro, commissionato e realizzato per la seconda edizione della Biennale di Riga (Riboca), fa parte: Household Gods, Divinità domestiche. Cui appartengono anche le installazioni Nonna, Madre e Sorella.

Spingendo la pratica di Beer, già in bilico tra arti visive, performative e musicali (si certe barriere sono già state abbattute da tempo ma mai del tutto), in un terreno sempre più remoto a ridosso del post-concettuale ma irrigato dall’affettività e nutrito dalla poesia.

Il suo trattamento dei materiali estende il sentimento- scrive di lui la Biennale di Riga- dove vasi con 'voci' si liberano dalle dualità costruite dell'animato e dell'inanimato, del soggetto e dell'oggetto, vivente e non vivente. Questo approccio inquadra il lavoro di Beer nella linea del pensiero animista, una convinzione attraverso la quale si riconosce la forza vitale che anima tutti gli esseri, dai manufatti agli elementi della natura.”

D’altra parte Oliver Beer ha un profilo particolare. Come ci si potrebbe aspettare da uno che oltre agli oggetti fa cantare anche gli edifici. "Sin da quando ero un bambino, potevo sentire le note degli edifici" ha detto al periodico Wallpaper.

Per farlo individua dei punti precisi in cui mettere dei cantanti che spingono l’architettura a suonare da sola. Come ha fatto più di una volta al Centre Pompidou di Parigi (uno tra i tanti capolavori di Renzo Piano). “Quando ci sono andato per la prima volta- ha ricordato recentemente su Instagram- ho scoperto che quando si canta un sol perfetto lo spazio risuona così potentemente che non puoi più nemmeno sentire la tua stessa voce, solo il tunnel di vetro che risuona intorno a te come una vasta canna d'organo architettonica. È una sorta di esperienza indescrivibile e viscerale”.

Un’altra importante intuizione di Beer si trova in Composition for Mouths (Songs my Mother Taught Me). L’opera è nata quasi per caso durante un giorno di prove reso clandestino da una manifestazione: per la sicurezza Beer se ne doveva andare, lui non ne voleva sapere, così ha finto di uscire per poi tornare ma ha dovuto trovare uno stratagemma per non farsi sentire. Così ha chiesto ai perfromers di cantare la prima canzone che ricordassero gli uni nella bocca degli altri. Le immagini sembrano quelle di persone che si baciano con trasporto ma il suono che esce dai loro nasi è una fusione di due voci e due canti. Persino due lingue e due culture.

Oliver Beer vive tra Londra e Parigi. Ha un sito internet e un account Instagram in cui condivide vari momenti del suo lavoro. La Biennale di Riga, in cui avrebbe dovuto presentare l’intera serie di installazioni Household Gods (in realtà Riboca 2 non aprì mai per la pandemia), vedrà la sua terza edizione la prossima estate.

Oliver Beer, Simple Rights / Unattained Goals (detail of installation), 2020, installation, sound, speakers, vessels, mixed media, plinths. Commissioned by the 2nd Riga International Biennial of Contemporary Art, RIBOCA2. Photo by Olga Sivel. Courtesy of the Riga International Biennial of Contemporary Art.

Oliver Beer, Simple Rights / Unattained Goals (Household Gods (Aspazija), (detail of installation), 2020, installation, sound, speakers, vessels, mixed media, plinths. Commissioned by the 2nd Riga International Biennial of Contemporary Art, RIBOCA2. Photo by Hedi Jaansoo. Courtesy of the Riga International Biennial of Contemporary Art.

Oliver Beer, Simple Rights / Unattained Goals (detail of installation), 2020, installation, sound, speakers, vessels, mixed media, plinths. Commissioned by the 2nd Riga International Biennial of Contemporary Art, RIBOCA2. Photo by Olga Sivel. Courtesy of the Riga International Biennial of Contemporary Art.