Nella sua ultima serie Kehinde Wiley arricchisce d'ornamenti i corpi e i volti degli afroamericani di Saint Louis per rendere epiche le loro storie

Kehinde Wiley, American, born 1977; Charles I, 2018;; oil on linen; image: 96 × 72 inches;; Courtesy of the artist and Roberts Projects, Los Angeles, California 2018.124;© Kehinde Wiley

Kehinde Wiley, American, born 1977; Charles I, 2018;; oil on linen; image: 96 × 72 inches;; Courtesy of the artist and Roberts Projects, Los Angeles, California 2018.124;© Kehinde Wiley

Al di fuori degli Stati Uniti il lavoro di Kehinde Wiley si è imposto soprattutto per il ritratto di Barack Obama. Ma, anche dopo aver collocato la tela che congelava l’immagine dell’ex-presidente allo Smithsonian, l’artista ha continuato a dipingere. Fino a sabato scorso, per esempio, era in mostra al Saint Louis Art Museum con una nuova serie di opere che effigia dei comuni cittadini del Missuri in un tripudio di fiori e motivi decorativi vari.

Kehinde Wiley esplora la ritrattistica classica mettendo al centro del quadro dei soggetti di colore. Più spesso persone di bassa estrazione sociale, per contrapporre la fierezza delle pose e la sicurezza delle espressioni alla semplicità del loro look. L’artista mutua piuttosto puntigliosamente il modo in cui i suoi personaggi si atteggiano ai dipinti del passato conservati nei musei e aggiunge un fondo a motivi ornamentali, rubato a tappezzerie o tessuti (ecc.) e rigorosamente collegato al luogo in cui si svolge la scena. Nella serie di Saint Louis le decorazioni si liberano e arrivano a invadere le immagini dei soggetti ritratti. Il gesto dei vegetali stilizzati, però, non appare bellicoso ma teso a coronare e arricchire. Quindi è una sorta di protezione.

"Quello che faccio (con la mia pittura ndr) è rallentare, prendere tempo- ha detto Wiley in un’intervista rilasciata a un quotidiano di Saint Louis- per onorare le persone in ogni piccolo dettaglio del loro essere. Dalle loro unghie al tipo di jeans che indossano - o quella sorta di timidezza o audacia del loro carattere. "

Nella serie di opere esposte al Saint Louis Art Museum l’artista ha preso spunto da un fatto di cronaca avvenuto nel 2014 nella vicina Ferguson, dove il nero 18enne disarmato Michael Brown è stato ucciso da un agente di polizia bianco. Gli 11 ritratti esposti, infatti, fotografano persone di quella comunità o comunque del lato nord della città.

I ritratti di Kehinde Wiley si possono vedere anche sul suo sito internet o sul suo spazio instagram. (via Hyperallergic)

Kehinde Wiley, “Portrait of Mahogany Jones and Marcus Stokes” (2018), oil on linen, image: 108 × 84 inches, framed: 119 × 95 × 6 inches, Saint Louis Art Museum

Kehinde Wiley, “Portrait of Mahogany Jones and Marcus Stokes” (2018), oil on linen, image: 108 × 84 inches, framed: 119 × 95 × 6 inches, Saint Louis Art Museum

Kehinde Wiley, “Three Girls in a Wood” (2018), oil on linen, image: 108 × 144 inches, framed: 119 in. × 155 inches, Saint Louis Art Museum

Kehinde Wiley, “Three Girls in a Wood” (2018), oil on linen, image: 108 × 144 inches, framed: 119 in. × 155 inches, Saint Louis Art Museum

Kehinde Wiley, “Saint Jerome Hearing the Trumpet of the Last Judgment” (2018), oil on linen, image: 96 × 72 inches, framed: 107 × 83 × 6 inches, Saint Louis Art Museum

Kehinde Wiley, “Saint Jerome Hearing the Trumpet of the Last Judgment” (2018), oil on linen, image: 96 × 72 inches, framed: 107 × 83 × 6 inches, Saint Louis Art Museum

“Jacob de Graeff”, 2018 image via Colossal

“Jacob de Graeff”, 2018 image via Colossal

“Madame Valmant”, 2018 image via Colossal

“Madame Valmant”, 2018 image via Colossal

Le scultoree forme effimere delle Ghost Apples. Che sembrano fantasia e invece sono scienza

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La risacca del mare magnum della rete spesso porta a riva delle curiosità, che se non hanno una stretta relazione con l’arte, di sicuro si legano al modo in cui discriminiamo il vero dal falso. Che solcano un nuovo confine tra quello che riteniamo artificio visivo, mero prodotto dell’immaginazione e a quello che, invece, un bel giorno, ci appare come reale. Sembrano quisquilie insomma, ma un po’ finiscono per ever a che fare con il sapere.

E’ il caso delle “ghost apples” che, dopo i cerchi nel ghiaccio (e senza parlare del segnale congelato), sono arrivate fino a noi sull’onda lunga di quello che oltre oceano è stato l’inverno più freddo di sempre. Si tratta di mele ghiacciate, senza nessun frutto all’interno. Mele fantasma, appunto.

A documentarne l’esistenza, e a farne un fugace fenomeno mediatico che dalla rete si è spostato sui media mondiali, sono state le fotografie dell’imprenditore agricolo del Michigan Andrew Sietsema. che dopo aver potato i meli si è accorto che su alcuni rami erano rimasti dei frutti di ghiaccio.

"Immagino che il ghiaccio che ricopriva la mela fosse integro per il freddo, ma che il clima fosse anche abbastanza caldo per trasformare la mela all'interno in poltiglia", ha spiegato Sietsema alla CNN. Scuotendo gli alberi durante la potatura, il liquido sarebbe quindi fuoriuscito da una crepa sul fondo del freddo involucro.

Questo fenomeno sarebbe, secondo i commenti di alcuni studiosi, raro ma non inedito. La polpa acida, delle mele infatti, a temperature estreme (il Michigan è arrivato a -18 gradi) reagirebbe marcendo velocemente fino a liquefarsi. (via Fruitbookmagazine, Usatoday)

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La scultura di Joana Vasconcelos a Le Bon Marché Rive-Gauche come un'astronave vestita di pizzi e lustrini

Joana Vasconcelos, Branco Luz. All images Courtesy Joana Vasconcelos

Joana Vasconcelos, Branco Luz. All images Courtesy Joana Vasconcelos

Lunga 30 metri e mezzo, larga 12 e alta 10, l'ultima scultura della famosa artista portoghese Joana Vasconcelos, realizzata per Le Bon Marché Rive-Gauche, fa parte della serie Valkyrie e sembra una navicella aliena- Ma vestita di pizzi e lustrini. Ha pure un nome civettuolo : si chiama Simone.

L’esposizione, intitolata Branco Luz (Luce Bianca, fino al 24 marzo) , perpetua la tradizione inaugurata dai grandi magazzini parigini nel 2016 con Ai Weiwei e continuata con Chiharu Shiota e Leandro Erlich gli anni successivi.

La Vasconcelos ha così commentato, in un’intervista rilasciata al magazine di Le Bon Marché, questo connubio tra moda e arte diventato ormai un appuntamento: “Conosco bene Le Bon Marché. Quando mi fermo a Parigi prima vado a vedere qualche mostra al Centre Georges Pompidou e poi a Le Bon Marché per capire l’aria che si respira nel mondo del fashion e del design. Questo mi dice quali sono gli attuali trend in termini di looks, packaging, etc. e mi da la sensazione del momento. E’ importante peer me capire come la pensano i designers del mio tempo”.

L’installazione , interamente creata nello studio portoghese di Joana Vasconcelos, si compone di una struttura di elementi gonfiabili (ma anche cavi d’acciaio e ventilatori) su cui sono stati sovrapposti tessuti fatti o lavorati a mano di ogni genere. Dal pizzo in lana ai ricami. Senza dimenticare lustrini, piume, led e ornamenti vari. Le forme poi sono morbide e ricordano un variegato mix di creature animali e vegetali fuse insieme da uno stregone ubriaco.

Fin qui niente di strano: la ricchezza della serie Valchirie è sempre incontenibile. Particolare è, invece, la scelta di giocare la scultura sui toni del bianco. Decisione che la Vasconcelos ha spiegato come una citazione alla settima del bianco (inventata a Le Bon Marché). L’opera si chiama Simone in omaggio a Simone de Beauvoir e Simone Weil

Il suo nome, Simone, è collegato all'aspetto guerriero della donna, che è incarnato da due figure femminili francesi che si sono distinte nella storia per il loro attivismo: Simone de Beauvoir e Simone Weil. Ma, soprattutto, rende omaggio a tutte le donne di oggi!

Per veder altre opere di Joana Vasconcelos il sito internet e l’account facebook dell’artista saranno d’aiuto. (via Designboom)

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