La doppia vita di Marco Bagnoli, proprietario della Sammontana e artista internazionale di successo

Marco Bagnoli, Ascolta il flauto di canna, 1985-2007, alluminio dipinto e impianto idraulico, h. 490 cm, diametro 9 cm, Villa La Magia, Quarrata 2007. Fotografia di Ela Bialkowska

Marco Bagnoli, Ascolta il flauto di canna, 1985-2007, alluminio dipinto e impianto idraulico, h. 490 cm, diametro 9 cm, Villa La Magia, Quarrata 2007. Fotografia di Ela Bialkowska

Un po’ come un supereroe d’altri tempi Marco Bagnoli ha una doppia vita: artista affermato e vicepresidente della Sammontana. Classe 1949, laureato in chimica, per lui il marchio leder del gelato in Italia è l’azienda di famiglia, la sua storia e il suo presente, ma l’arte non è da meno. La sua prima mostra di una certa importanza, infatti, risale al 1977 (insieme, tra gli altri, all’amico Mario Merz) ma a creare comincia molto prima. E poi di smettere non se ne parla.

Adesso Skira gli ha dedicato un’importante monografia a cura di Germano Celant (con cui Bagnoli è entrato in contatto fin dagli anni ’70), che ripercorre il suo percorso artistico- culturale, intrecciandolo alla biografia e inframmezzandolo con le principali dichiarazioni poetiche dell’artista. Perché Marco Bagnoli è anche poeta. Anzi la poesia fu la sua prima passione. Dopo il gelato ovviamente.

Per me la gelateria era un mondo magico, frequentato anche da artisti come Virgilio Carmignani e Gigi Boni, molto amico di mio padre- ricorda- Quando venne acquistato il terreno per la nuova fabbrica, lo spazio non fu occupato del tutto. Mio nonno Romeo, che la terra l’aveva lavorata davvero e che ebbe sempre la natura nell’anima, ci ricavò un orto che coltivava con passione. Per me andare in fabbrica voleva dire andare nell’orto del nonno a imparare a lavorare la terra e a coltivare gli ortaggi”.

Oltre i ricordi tuttavia ci sono anni di lavoro in un gruppo in espansione, ci sono le sfide imprenditoriali, c’è la concretezza della fabbrica.

Marco Bagnoli non è l’unico artista a essere riuscito a mettere insieme due carriere impegnative, di successo e apparentemente inconciliabili (per esempio il premier albanese Edi Rama). Tuttavia il suo percorso resta fuori dall’ordinario. C’è anche da dire che Bagnoli non è tipo da facilonerie: spazia tranquillamente tra un mezzo espressivo e l’altro, le sue opere sono visivamente semplici ma dense di simboli, studiate ed estremamente colte. Senza contare il curriculum che non è certo poca cosa (ha esposto in quattro edizioni della Biennale di Venezia e in due di Documenta, oltre ad essersi meritato le sale di importanti musei internazionali).

Di che parla? Celant lo spiega così: “Un’inedita rifondazione poetico-scientifica del fare arte, che professa l’unità delle culture, al fine di sopprimere ogni confine e ogni distanza e ridare all’indagine estetica una presenza simultanea di tutte le polarità del sentire e del percepire”.

Insomma gli piace mostrare le cose da angolazioni diverse, apparentemente esotiche (la cultura orientale per esempio è un elemento ricorrente) e sottolineare che se si guarda con più attenzione tanto diverse non sono. Sotto la superficie essenziale (anche se non immune a un certo senso scenografico dello spazio) le sue installazioni sono poi profondamente legate alla Storia dell’Arte della terra che ha dato i natali al loro autore (la Toscana): la prospettiva, il paesaggio, l’emergere di un bagliore ‘divino’. Il suo è un universo ordinato, che non si lascia affascinare dall’abisso e non cede alla tentazione dell’ironia perché pur interrogandosi poggia su delle solide certezze. E poi, da che mondo è mondo, il gelato aiuta a tener alto il morale.

Marco Bagnoli, La Parola, 2004-2009, pallet in legno, impianto sonoro, 1040 x 1440 x 400 cm, Spazio Thetis, Arsenale Novissimo, Venezia 2009. Fotografia di Gino Di Paolo

Marco Bagnoli, La Parola, 2004-2009, pallet in legno, impianto sonoro, 1040 x 1440 x 400 cm, Spazio Thetis, Arsenale Novissimo, Venezia 2009. Fotografia di Gino Di Paolo

Marco Bagnoli, Albe of Zonsopgangen, pallone aerostatico, terra e stroboscopio, brughiera di Laren 1984. Fotografia di Jan Schot rielaborata

Marco Bagnoli, Albe of Zonsopgangen, pallone aerostatico, terra e stroboscopio, brughiera di Laren 1984. Fotografia di Jan Schot rielaborata

Marco Bagnoli, Araba Fenice, fibra di vetro, foglia d'argento, colore, onice e alluminio verniciato, h. 650 cm, 540 diametro, Giardino di Boboli, Palazzo Pitti, Firenze 2013. Fotografia di Ela Bialkowska

Marco Bagnoli, Araba Fenice, fibra di vetro, foglia d'argento, colore, onice e alluminio verniciato, h. 650 cm, 540 diametro, Giardino di Boboli, Palazzo Pitti, Firenze 2013. Fotografia di Ela Bialkowska

Marco Bagnoli, Dacché sono io, entra, legno dipinto e proiezione di luce, 4 x 125 x 600 cm, Villa La Magia, Quarrata 2007. Fotografia di Fulvio Salvadori

Marco Bagnoli, Dacché sono io, entra, legno dipinto e proiezione di luce, 4 x 125 x 600 cm, Villa La Magia, Quarrata 2007. Fotografia di Fulvio Salvadori

Marco Bagnoli. Spazio [x] Tempo. Si fa così X = 5 (+5)=X, affresco, Castello di Santa Maria Novella, Fiano 1997. Fotografia di Paolo Emilio Sfriso

Marco Bagnoli. Spazio [x] Tempo. Si fa così X = 5 (+5)=X, affresco, Castello di Santa Maria Novella, Fiano 1997. Fotografia di Paolo Emilio Sfriso

Marco Bagnoli, L'anello mancante alla catena che non c'è, mercurio, rame, ferro, legno, 480 x 380 cm, Sala Ottagonale, Fortezza da Basso, Firenze 1989. Fotografia di Carlo Cantini

Marco Bagnoli, L'anello mancante alla catena che non c'è, mercurio, rame, ferro, legno, 480 x 380 cm, Sala Ottagonale, Fortezza da Basso, Firenze 1989. Fotografia di Carlo Cantini

Marco Bagnoli, Bonjour, Monsieur Cézanne, cappello di feltro, Galleria Lucio Amelio, Napoli 1978. Fotografia di Maria Benelli

Marco Bagnoli, Bonjour, Monsieur Cézanne, cappello di feltro, Galleria Lucio Amelio, Napoli 1978. Fotografia di Maria Benelli

Gli austriaci che hanno realizzato la cupola del Louvre di Abu Dhabi annunciano l'insolvenza dopo il rifiuto del museo a onorare completamente la parcella

louvre di abu dhabi, immagine di mohamed somji / tutte le immagini © louvre abu dhabi

louvre di abu dhabi, immagine di mohamed somji / tutte le immagini © louvre abu dhabi

La stabilità finanziaria della società di ingegneria siderurgica austriaca Waagner-biro, che ha costruito la spettacolare e mastodontica cupola progettata da Jean Nouvel del Louvre di Abu Dhabi, è a rischio dopo oltre 160 anni di attività. E la responsabilità sarebbe proprio del museo mediorientale.

Recentemente, infatti, Waagner-Biro ha annunciato l'insolvenza della sua controllata SBE Alpha AG della holding Waagner-Biro AG oltre ad affermare che "il resto del gruppo è in pericolo di insolvenza". Un'altra filiale, la Waagner-Biro Austria Stage Systems AG, invece sarà venduta. E come se non bastasse ci sarebbero "intense discussioni" sul futuro di un'altra sussidiaria (Waagner-Biro Bridge Systems AG).

Alla base di questo quadro tumultuoso ci sarebbe una delle commissioni più importanti di sempre: la realizzazione da 80 miloini di euro della cupola del Louvre d Abu Dhabi.

Grande come 5 campi da calcio (178 metri di diametro), la cupola del Louvre di Abu Dhabi, progettata dal famoso architetto francese Jean Nouvel, è il cuore pulsante del museo. Mentre crea giochi di luce cangianti, riesce ad evocare ad un tempo formalità ed elegante sfarzo. Da sola vale già un viaggio (come dimostra il milione di visitatori che ha visitato il museo durante il suo primo anno d’attività), basti pensare che è composta da 7850 stelle che si ripetono in dimensioni ed angolazioni diverse su otto strati sovrapposti.

Con oltre 160 anni d’esperienza, 1300 dipendenti e sedi in Europa,Medio-Oriente e Sud-Est Asiatico, la Waagner-Biro sembrava il soggetto giusto per dar vita alla spettacolare ed imponente cupola. Ma le cose non sono andate per il verso giusto. Ci sono stati ritardi nei pagamenti ma soprattutto il Louvre di Abu Dhabi si è rifiutato di pagare interamente l’importo dell’opera facendo aumentare i costi per la società.

Prima della cupola del Louvre di Abu Dhabi la Waagner-Biro si era già occupata di progetti prestigiosi come le scenografie della Sydney Opera House e della State Opera House di Berlino, la costruzione della cupola del Reichstag a Berlino, il tetto della Queen Elizabeth II Great Court al British Museum, il Fjordenhus,di Olafur Eliasson in Danimarca e del Botlek Bridge a Rotterdam che è il più grande ponte di sollevamento del mondo. (via Designboom, theartnewspaper, alaraby)

louvre di abu dhabi, immagine di mohamed somji / tutte le immagini © louvre abu dhabi

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louvre di abu dhabi, immagine di roland halbe/ tutte le immagini © louvre abu dhabi

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Marc Newson crea un leggio che sembra un motore di F1 per Ferrari Art & Collector’s Edition, il libro firmato (personalmente) da Sergio Marchionne

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Esce questo mese Ferrari Art & Collector’s Edition un libro in edizione limitata impacchettato in una custodia-leggio di Marc Newson che sembra un motore 12 cavalli ma è una scultura. Troppa roba? Macchè: le copie sono state firmate una ad una dai vertici dell’azienda di Maranello. Compreso lo scomparso Sergio Marchionne.

Specializzato in design industriale, Marc Newson è uno dei creativi più influenti del mondo, le sue opere sono conservate nei più importanti musei e gli inglesi lo hanno pure nominato Commendatore dell’Ordine dell’Impero Britannico. Non stupisce quindi che sia stato lui a creare il leggio-scultura che completa una delle ultime edizioni limitate della Taschen per uno dei brand più famosi di sempre: la Ferrari.

Insomma se nell’auto design e tecnologia si fondono per dar vita a un simbolo di successo, lusso e velocità perché il leggio di un libro non può fare altrettanto? Newson ha scelto di puntare su questa unione per contenere Ferrari Art & Collector’s Edition ma soprattutto per rappresentare plasticamente il senso del libro (e del brand, ovviamente). Così il contenitore che custodisce il volume richiama la forma di un motore V12 e la tecnica di realizzazione rubata alla fabbrica automobilistica (fusione di alluminio, cromo sabbiato con polvere, alla fine di questo post ho pubblicato un video che spiega com’è fatto) si riferisce esplicitamente all’artigianato di qualità. Le gambe del leggio sono state unite tra loro con la saldatura TIG (Tungsten Inert Gas, un processo che produce saldature più resistenti, tipiche dell'industria dell’auto). Dulcis in fundo: la parte superiore della cassa è stata rifinita con la vernice rossa della Ferrari (la stessa usata per i motori).

Il libro della Taschen, dedicato alla storia del cavallino rampante e del suo fondatore Enzo Ferrari, è edito dal giornalista vicino da tempo alla casa automobilistica, Pino Allievi e “offre accesso illimitato a centinaia di fotografie dagli archivi Ferrari e da collezionisti privati , per rivelare la storia completa dei protagonisti, delle vittorie, del passato e del futuro della Ferrari.” C’è anche un'appendice completa che raccoglie tutte le vittorie della Ferrari dal 1947. Le copie sono in tutto 1697 e verranno vendute in tutto il mondo. Le edizioni in cui è stato prodotto sono invece due: Ferrari Collector’s Edition e Ferrari Art Edition.

Le copie che compongono la Ferrari Collector’s Edition sono state autografate da Piero Ferrari. Mentre quelle della Art Edition portano le firme di Piero Ferrari, John Elkann e per un caso del destino anche quella di Sergio Marchionne. Il lavoro di Marc Newson è al centro di un’altra edizione limitata della Taschen tirata in soli 100 esemplari e con cofanetto disegnato dallo stesso designer (in collaborazione con Richard Allan).

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